Un campione. Nel senso più puro del termine. Questo e tanto altro era Agostino Di Bartolomei, questo è tanto altro è stato anche a Salerno. “Simbolo di un calcio romantico fatto di cuore, polmoni e grinta” – dirà di lui la Figc nel 2014 – e di talento. Perché Ago ne aveva da vendere”. Sul capitano della Roma arrivato al Vestuti per portare la Salernitana in B ne sono state dette tante, sul suo carattere schivo, sul suo saper essere un leader silenzioso, sul suo tiro micidiale, sui suoi gol. Un collo pieno che ancora oggi dovrebbe fare scuola, come testimonia una qualsiasi fotografia che lo ritrae calciare un pallone. Un calcio pulito, esattamente come la figura del campione che dopo aver vinto uno scudetto e sfiorato una Coppa dei Campioni, deciderà per la prima volta di giocare in serie C alla soglia dei 33 anni. Tolta la stagione d’esordio con la Roma, ad appena diciotto anni, (due le presenze in attivo), quel suo modo di calciare così pulito lascerà il segno, sempre, anno dopo anno. Non ci sarà stagione senza gol all’attivo, alla fine della carriera saranno più di cento, molti dei quali spesso decisivi. Esattamente come quello del 27 maggio 1990, a Brindisi, a due giornate dal termine del campionato di serie C1. Forse uno dei più “sporchi”, eppure uno dei più importanti nella storia della Salernitana, che una settimana dopo, al termine della gara pareggiata a reti bianche con il Taranto, raggiungeva la tanto agognata promozione in serie B. Ed è proprio in queste righe di “Una partita lunga un secolo”, che si ripercorrono quei momenti, quelle figure così cariche di peso specifico all’interno del viaggio granata iniziato nel 1919. Agostino Di Bartolomei, Peppino Soglia, Giancarlo Ansaloni, personaggi che non possono che assumere un ruolo da protagonisti quando si parla di Salernitana.
L’estratto su Agostino Di Bartolomei a cura di Luigi Narni Mancinelli. Da “Una partita lunga un secolo”, cent’anni di Salernitana (e di Salerno). Di Luigi Narni Mancinelli e Angelo Scelzo, edito da Gruppo Albatros Il Filo. Prefazioni di Dino Zoff e Nino Petrone.
“Semplicemente: guidaci ancora Ago”. Lo striscione esposto nella curva nord dello stadio Olimpico di Roma durante Lodigiani-Salernitana dei play off di serie C1 nella stagione 1993-94 segnava il ricordo di un grande calciatore appena scomparso. Erano passati solo sei giorni da quando Agostino Di Bartolomei, storico leader della Roma di Nils Liedholm, aveva posto fine tragicamente alla sua esistenza a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno, il 30 maggio del 1994. Dovendo scegliere in maniera sicuramente arbitraria un solo calciatore per un secolo intero di storia, un solo atleta da portare come rappresentante di una vita centenaria, uno tra i tantissimi che hanno calcato l’erba del Vestuti e dell’Arechi, viene quasi naturale parlare di lui, di Agostino Di Bartolomei. I motivi di questa scelta sono diversi. Sicuramente Di Bartolomei è stato uno dei calciatori più forti che abbia mai giocato nella Salernitana, e questo è un dato di fatto incontrovertibile. Parliamo di un tipo di calcio, quello degli anni ’80, che stava maturando una lenta trasformazione dal punto di vista atletico, tattico e soprattutto fisico. Se vediamo due match qualsiasi, uno degli inizi degli anni ’80 e uno degli inizi dei ’90, possiamo accorgerci facilmente come mutino sia le strutture fisiche degli atleti in campo, rafforzati da allenamenti di diverso tipo e da una cura medica molto più intensa, così come appare chiaro che il gioco si velocizzi drasticamente. Se guardiamo ad esempio le partite del mondiale vinto dall’Italia nel 1982 ci rendiamo facilmente conto di come siano decisamente più “lente” di quelle attuali, con passaggi snervanti nell’area di rigore avversaria e giocatori che passeggiano sul campo palla al piede senza che vengano affrontati: assolutamente impensabile oggi, ma anche dieci anni dopo le cose erano già diverse. La carriera di Agostino Di Bartolomei si inserisce in questo passaggio epocale per il calcio e porta con sé alcune caratteristiche appartenenti alla prima come alla seconda era geologica di uno sport in mutazione. Il calciatore romano era infatti un centrocampista che partiva dalla difesa, oggi si direbbe “un play basso”, con movenze abbastanza flemmatiche e con una visione di gioco che si affidava soprattutto alle geometrie: passaggi, lanci, costruzione lenta della manovra. Come ebbe a dire uno storico giornalista sportivo come Gianni Mura, Di Bartolomei “da centrocampista ebbe una seconda carriera come libero, o centrale difensivo. Un destino che tocca solo a giocatori di costruzione, con un grande senso del gioco collettivo. Come Beckenbauer, come Scirea che mi viene automatico accostare ad Agostino per i silenzi e per la stessa visione di un calcio semplice, pulito” (Gianni Mura, Il calcio di Ago, in la Repubblica, 17 settembre 2012). A queste caratteristiche, però, Di Bartolomei associava anche altre qualità che lo vedevano proiettato verso il futuro del calcio, un futuro che oggi leggiamo come un presente fatto di atleti fisicamente più strutturati e dalle giocate potenti. Il centrocampista romano aveva infatti un tiro micidiale, forte e preciso. Il modo in cui colpiva il pallone era unico nel suo genere: come tirava una punizione o un rigore, quasi da fermo, era il marchio di fabbrica di Ago. Quando arriva a Salerno un campione del genere, uno che è stato il capitano della Roma campione d’Italia, la Salernitana è in serie C1 da ventitré anni. La scelta di andare a giocare in provincia è dettata dagli affetti e dalla voglia di chiudere la carriera costruendo anche un futuro privato legato al territorio, con l’apertura di una scuola calcio per bambini e il desiderio di pensare ad una carriera oltre il lavoro di calciatore professionista che purtroppo sarà molto breve. A Di Bartolomei, dunque, arrivato a Salerno gli si chiede semplicemente, come affermerà lo striscione esposto all’Olimpico, di portare per mano la squadra in serie B. Il primo anno va male. La stagione 1988-89 finisce infatti con la squadra granata bloccata all’undicesimo posto, ben lontana da quella promozione che il presidente Peppino Soglia ha in mente. Di Bartolomei finisce addirittura in panchina, una vera e propria assurdità, una bestemmia per un calciatore che ha fatto la storia del calcio italiano e sta chiudendo la carriera nei campetti di provincia. Eppure Ago sceglie di rimanere, non abbandona la sua idea di vincere con la squadra di quella che sta diventando la sua nuova terra d’adozione e resta al timone di una società che vuole abbandonare finalmente dopo più di vent’anni la terza serie. Con l’avvento in panchina di Ansaloni, finalmente le cose cominciano a quadrare e Di Bartolomei porta le sue geometrie e il suo tiro micidiale al Vestuti. La penultima giornata di campionato la Salernitana è a Brindisi, accompagnata da migliaia di persone in trasferta: il popolo granata accarezza ormai il sogno di una promozione mancata per decenni e che ora si sta avverando sotto i suoi occhi. Il tiro preciso in diagonale rasoterra di Agostino dà la vittoria alla Salernitana e la promozione arriverà la settimana successiva in casa contro il Taranto. Ago ce l’ha fatta, ha portato la squadra in serie B e termina così la sua gloriosa carriera. Dopo il ritiro rimane a Castellabate, dove porta avanti il progetto di educazione dei bambini allo sport. Bisogna aggiungere, per completare il racconto di uno sportivo che può rappresentare l’emblema degli atleti che hanno vestito in cento anni di storia la casacca granata, che Di Bartolomei è stato una figura esemplare non solo come calciatore ma anche per il suo grande carisma e lo spessore umano. Di lui si è detto come fosse serio, riservato, pacato e come fosse capace di guidare uno spogliatoio fin dalle giovanili: si ricorda il discorso tenuto da ragazzo ai suoi compagni di squadra dopo la vittoria di un torneo, già da allora Agostino sembrava l’adulto in campo, il capitano che per maturità guidava i coetanei bisognosi di un punto di riferimento. La fine della vita di Ago è stata drammatica, ma non è un caso se oggi suo figlio porti avanti battaglie civili importanti come quella del controllo sulle armi per la prevenzione delle violenze domestiche e non: quello che ha seminato in vita come uomo e come calciatore resta infatti ancora oggi vivo nei suoi eredi grazie agli insegnamenti e al suo esempio. Il sorriso raro e triste di Di Bartolomei resta uno dei ricordi più struggenti e significativi di un calcio che si stava trasformando, ponte verso un presente che è spesso segnato da tante storture e caratteristiche negative, quel calcio moderno che sembra a tratti solo un business e che ha perso magia e poesia. Per questo motivo oggi ogni calciatore che indossa la maglia della Salernitana dovrebbe fare tesoro di quanto ha fatto Agostino Di Bartolomei per la squadra granata, per la città di Salerno e per il suo popolo di tifosi che lo ricordano ancora con grande affetto.