Se volessimo abusare di uno dei luoghi comuni più frequenti del calcio, potremmo dire che la netta sconfitta contro il Benevento è assimilabile ad un bagno di umiltà capace di innescare l’inizio di una repentina rinascita. Se lo facessimo, però, finiremmo per non porre l’accento sui tanti aspetti negativi, soprattutto gestionali, emersi nella serataccia di ieri e che vanno ben al di là della prima scoppola del torneo.
Il tonfo casalingo contro gli uomini di Inzaghi, infatti, ha confermato l’atavica incapacità della proprietà granata nel gestire oculatamente la programmazione calcistica stagionale. Nei giorni scorsi ci siamo abbondantemente soffermati sul mercato, che doveva assolutamente essere completato attraverso una necessaria operazione di rifinitura. Per regalare un’ulteriore spinta all’inizio interessante della squadra, maggiore entusiasmo ad una tifoseria predisposta positivamente e, soprattutto, argomenti concreti per ridurre il gap dalle squadre di testa e consentire a Ventura di lavorare serenamente sul suo propositivo progetto calcistico.
Invece è stato sufficiente registrare l’assenza di un calciatore fondamentale dell’undici base, Akpro, e fronteggiare una squadra carismatica e di assoluto spessore tecnico come il Benevento, per risultare ridimensionati ed essere posti al cospetto di un’amara verità che sfocia in un dubbio volutamente retorico. Lotito e Mezzaroma sanno fare calcio oppure, come è legittimo sospettare, hanno semplicemente intenzione di produrre un modello pallonaro che accontenti solo in misura parziale gli appetiti e le crescenti euforie della piazza?
Prima ancora della batosta patita sul rettangolo verde, ieri il campo ha decretato la disarmante differenza esistente tra la pianificazione calcistica di Patron Vigorito e quella costantemente raffazzonata concepita dai proprietari capitolini di stanza a Salerno. Registrare, per l’ennesima volta, un simile ed oggettivo dato di fatto è doloroso come un pugno improvviso ed inatteso ricevuto in pieno stomaco, di quelli che spezzano il respiro e gettano nella più totale confusione. Due vittorie erano state sufficienti per riportare sui gradoni dell’Arechi l’insopprimibile desiderio di calcio ambizioso che alberga da sempre nell’animo del tifoso granata. Due vittorie avevano fatto dimenticare in fretta la scellerata gestione delle ultime battute della sessione estiva del calciomercato, caratterizzate da una cecità operativa che si dimena tra incompetenza, presunzione e fondati sospetti di volontaria passività. Una squadra che vuole recitare da protagonista fino in fondo, preso atto dell’ennesimo intoppo fisico patito dal fragile Akpro, corre immediatamente ai ripari ed acquista un sostituto all’altezza, che, per inciso, dovrebbe essere presente in organico anche se l’ivoriano godesse sempre di un ottimo stato di salute. Perché se vuoi giocare con due mezzali, accanto ad Akpro e Firenze devi collocare almeno un altro interprete di pari livello. Ed invece, pur avendo tempo di rimediare in sede di mercato (operazione eseguita con molta lungimiranza dal Benevento, abile a reperire nei saloni milanesi il forte Hetemaj dopo aver conosciuto l’entità dell’infortunio di Schiattarella), la Salernitana ha gestito l’assenza di Akpro lasciando a Ventura l’amarezza di dover optare per l’inconsistente ‘mestieranza’ di Odjer. Allergia da portafoglio e assenza di visione che non hanno nulla da spartire con i cuori frementi dei diciottomila innamorati che hanno restituito all’Arechi il colore e la passione sconfinata dei bei tempi andati. Il match di ieri ha ribadito, inoltre, l’oggettiva assenza di un attaccante con la ‘A’ maiuscola, di quelli in grado di capitalizzare cinicamente le poche occasioni da gol prodotte dalla squadra e allo stesso tempo di saper fare reparto da solo ed aiutare i compagni a recitare il loro copione tattico. Questione di dettagli. Jallow e Giannetti, lo dice la loro storia professionale, sono attaccanti strutturalmente incostanti nel rendimento. Come si dice dalle nostre parti, ‘una volta te lo danno ed un’altra no’. Una scommessa, non la certezza tecnica che avrebbe gonfiato la rete almeno una volta nelle tre occasioni capitate sui loro piedi e sulle loro teste.
La lezione di ieri servirà anche a mister Ventura, il quale, forse, si fida troppo ciecamente della sua capacità di fare calcio, al punto da dimenticare che, alla fine, la qualità degli interpreti è l’unico ingrediente capace di fare realmente la differenza. L’ex trainer del Torino è allenatore che può risultare valore aggiunto e regalare una manciata di punti in più al gruppo che allena, ma sulla lunga distanza i valori tecnici e l’organizzazione societaria emergono e s’impongono sempre. Anche lui deve recitare il ‘mea culpa’, per non essere riuscito ad ottenere il completamento dell’organico nei ruoli chiave del suo assetto tattico. Omissioni societarie non denunciate apertamente nel post mercato e che, purtroppo, potrebbero compromettere un torneo potenzialmente interessante.
La Salernitana, complici un livellamento tecnico generale e la forza del suo meraviglioso pubblico, probabilmente riuscirà a giocare le sue carte sul tavolo play off. Vincere, però, è un’altra cosa. Lotito, Mezzaroma e Fabiani farebbero bene ad armarsi di carta e penna e seguire disciplinatamente il ciclo di lezioni sull’organizzazione calcistica messo a disposizione da Vigorito e dal suo staff.