Assistere alle gare della Salernitana, indossando la duplice veste di tifoso e cronista, è diventato ormai una sorta di calvario psicologico. Una tortura della psiche che è figlia della consapevolezza di partecipare ad uno spettacolo assimilabile al wrestling, durante il quale la sensazione di trovarsi al cospetto di un evento farlocco ed incapace di alzare l’asticella non ti abbandona mai.
Vedi i match dei granata e ti assale costantemente la certezza di una squadra costruita per esprimersi a sprazzi, strutturalmente impossibilitata, per carenze tecniche, tattiche e mentali, a dare continuità al suo cammino e, soprattutto, a ritagliarsi uno spazio importante nel cuore della classifica cadetta e degli stessi tifosi.
Questa inossidabile convinzione impiega poco ad alimentare, nell’animo della tifoseria, moti di stanchezza, delusione, frustrazione e rabbia impotente. Stati d’animo assai molesti, vividi nel loro oscuro potere di procurare, da un quadriennio abbondante, fitte dolorose alla passione di noi tutti.
Il prodotto calcistico offerto dalla triade Lotito-Mezzaroma-Fabiani, pur protetto dalla ferrea corazza visionaria della torcida granata, sempre encomiabile nella sua capacità di mantenere vivi sogni e speranze, come testimoniano i mille tifosi presenti ieri a Cremona, scava, settimana dopo settimana, trincee di disillusione e rassegnazione nella sfera appartenente all’inconscio.
Perché è evidente, anche agli occhi di chi non mastica calcio a trecentosessanta gradi, che al gruppo affidato a Giampiero Ventura sarebbero bastati tre elementi di spessore (uno per reparto) per competere addirittura in ottica promozione diretta.
Lacune fin troppo lapalissiane già alla vigilia del torneo, ostinatamente e incomprensibilmente trascurate. Tre acquisti che avrebbero aiutato la Salernitana a conquistare quei quattro-cinque punti in più capaci di scuotere finalmente le perplessità emotive e razionali di chi segue con trasporto le sorti del cavalluccio.
Deficienze tecniche che mutano radicalmente lo scenario, facendo scivolare i disegni di un campionato autenticamente vincente ed ambizioso in un contenitore dove poter al massimo raschiare il fondale per mantenere viva la speranzella di agganciare il treno play off. In questa oggettiva assenza di intervento risiede il legittimo scetticismo che accompagna la tifoseria, impegnata nelle valutazioni su operato societario poco interessato a trasferire sostanza e concretezza ai sogni e alla fame di protagonismo del popolo granata.
Lotito, Mezzaroma e Fabiani, trincerandosi dietro infondati e velleitari propositi di rivestire di competitività un organico incompleto, continuano a fallire sul terreno della trasparenza e dell’empatia. Perché ai fatti ormai acclarati di un progetto calcistico mai decollato in un quinquennio di serie B, affiancano la pretesa che la loro approssimazione programmatica non debba essere messa in discussione.
Ed invece questo passaggio, i padroni del vapore, devono desiderarlo spasmodicamente, per ‘assaporare’ fino in fondo, come sono ormai abituati a fare da anni i tifosi granata, l’acre retrogusto di un’aspirazione legittima e allo stesso tempo perennemente calpestata.
La distanza che separa l’autentica crescita tecnica della squadra, complice anche la nuova sosta del torneo cadetto, è lunga poco più di un mese. Gennaio si avvicina ad ampie falcate, la triade dirigenziale è giunta ad un bivio: rinforzare adeguatamente la squadra per assecondarne in maniera concreta le potenzialità tecniche, oppure perseverare nell’assurda pretesa di spacciare per oro un metallo che a malapena presenta tracce di argento.
Un bivio destinato a mutare anche l’approccio della tifoseria alla seconda parte della stagione: scacciare i fantasmi e sognare finalmente gli agognati scenari in cui coccolare i propri beniamini e l’eterna passione, oppure riflettere seriamente sulla possibilità di cambiare i pacchetti della pay tv o le gradinate su cui accomodarsi per seguire un altro genere di farsa.