La Salernitana strappa dagli occhi dei suoi tifosi la bella immagine di sé che aveva offerto contro il Pordenone, pregusta i giorni vacanzieri che l’attendono ed indossa a La Spezia i panni della presunzione, approcciando la gara in maniera superficiale ed uscendo sconfitta contro una squadra ampiamente alla sua portata. Trenta minuti, quelli iniziali, assolutamente irritanti, disputati senza nerbo e passione, ciondolando apaticamente per il campo mentre i padroni di casa costruivano il successo alla stregua di laboriose formichine. Appena tre giorni dopo, la rappresentazione di un sogno che sfuma: addio circolazione rapida del pallone, affondi laterali imperiosi, sterzate improvvise al centro del campo, precisi cambi di gioco, cattiveria agonistica e voglia di stupire. Per lasciare spazio ad un incubo affollato di stucchevoli palleggi da riscaldamento infrasettimanale, di distanze abissali tra i reparti e distrazioni difensive inammissibili per un campionato importante e difficile come quello cadetto.
Le grandi squadre, quelle autenticamente ambiziose e carismatiche, sono abituate ad alzare l’asticella quando realizzano uno step positivo, a chiedere sempre di più al loro rendimento, ad essere esigenti nella cura dei dettagli che conduce al meritato successo. L’esempio offerto dal Benevento, al di là della distanza tecnica che separa il team giallorosso da quello granata, è più eloquente di mille parole. La squadra di Inzaghi, nonostante il corposo vantaggio acquisito in classifica ed un campionato già vinto con un girone intero ancora da disputare, scende in campo imponendo a sé stessa nuovi obiettivi: cancellare diversi record per entrare nella storia, divertirsi e divertire il pubblico che sfida freddo e pioggia, rispettare gli investimenti di una società che non lesina sforzi per raggiungere l’unico risultato fissato ad inizio stagione, la vittoria incontrastata del campionato. L’invidia è la malattia dell’anima di chi non crede nella possibilità di essere artefice del proprio destino, così come gli alibi ed i piagnistei impediscono di progredire nella vita. Anche ieri, al termine di una sconfitta figlia di incomprensibili ed inaccettabili carenze caratteriali e tecniche, qualcuno ha continuato a maledire il palo colpito all’ultimo minuto, la sfortuna, gli errori arbitrali ed altre amenità. Se si vuol bene alla Salernitana, bisogna immediatamente accantonare i vittimismi ed i pianti di inconsolabili comare, approfittare della provvidenziale sosta e pianificare le operazioni (organizzative, comunicative, tecniche e tattiche) per ritagliarsi uno spazio da protagonisti in un torneo che, a parte lo strapotere beneventano, può ancora regalare alla truppa di Ventura la possibilità di far dimenticare ai propri tifosi un quadriennio ricco di frustrazioni e spettacoli avvilenti.
Discorsi e attese che, puntualmente, finiscono per dominare le riflessioni sull’immediato futuro tecnico della squadra giunta al giro di boa. I precedenti suggeriscono di non riporre eccessiva fiducia nell’operato della triade Lotito-Mezzaroma-Fabiani; troppo evidenti gli errori e le omissioni registrati nei mercati di riparazione degli ultimi quattro anni per andare oltre una cauta e autoimposta speranza. Una cosa però, tutte le componenti che hanno a cuore le sorti della squadra granata, possono realizzarla: far sentire il fiato sul collo a chi ha il dovere di dimostrare in maniera concreta il dovuto rispetto ad una piazza ormai stanca della precarietà calcistica e della sostanziale indifferenza riservatele.Una base interessante è già presente nell’organico a disposizione di Ventura, però bisognerà assolutamente intervenire in tutti i reparti per far si che un gruppo di estrosi calciatori diventi finalmente un complesso solido, concreto e tatticamente organizzato. Il settore da rivoluzionare in fretta è quello difensivo. Gli interpreti che si sono alternati nelle diciannove gare del girone d’andata hanno destato più di una perplessità. Letture tattiche sballate, incostanze mentali, titubanze e distrazioni assortite hanno reso la retroguardia granata tra le più perforabili dell’intero torneo. La sosta aiuterà Heurtaux a completare il suo percorso di stabilizzazione fisica e di crescita atletica, ma l’apporto dell’ex veronese, tutto da verificare alla prova del prato verde, non sembra garantire quel vigore temperamentale intriso di esperienza ed intelligenza tattica di cui necessita il reparto difensivo. Almeno un altro elemento di consolidata maturità e nel pieno delle forze psicofisiche dovrà arrivare alla corte di Gian Piero Ventura.
Analogo discorso va fatto per il reparto avanzato, dove non si può semplicemente sperare che le acrobazie di Djuric vengano alimentate in maniera continua da perfetti traversoni provenienti dalle corsie esterne. Nel roster offensivo granata si avverte l’assenza di un attaccante tecnicamente dotato, un calciatore freddo e concreto in fase di finalizzazione, ma anche pronto a porsi al servizio della squadra indossando i panni di regista avanzato e regalando ai numerosi fantasisti presenti in organico la possibilità di inserirsi ed essere devastanti. Queste due operazioni appaiono assolutamente prioritarie. Però, per non smarrire gli incoraggianti riferimenti offerti dall’entusiasmante prestazione contro il Pordenone, la squadra avrebbe bisogno di altri due calciatori: una mezzala di gamba e di qualità ed un esterno che abbini fase difensiva ed intraprendenza nell’uno contro uno. Calciatori in grado di tenere sulla corda, sia nel corso degli allenamenti settimanali che in partita, le coppie Kiyine-Akpro e Lombardi-Cicerelli, oltre a rappresentare utili interpreti in grado di tamponare le emergenze legate a squalifiche, infortuni e scadimenti di forma psicofisici. Necessarie lungimiranze calcistiche, per dar vita ad una seconda parte di stagione degna di essere vissuta. Passaggi che, soprattutto, ci consentiranno di capire se la fuffa di sempre avrà finalmente lasciato spazio ad un’operatività impegnata ad inseguire il successo.