La spietatezza risiede inequivocabilmente nei numeri della nuova compagine di Governo: tre ministri su quattro provengono dal Nord, ben nove dalla sola Lombardia. Questione di spartizione politica, qualcuno obietterà, essendo la Lega una delle forze che sorprendentemente si è tuffata nell’avventura di Governo in attesa della pioggia di miliardi in arrivo dall’Europa. Ma l’equilibrio con cui Draghi ha affidato ministeri alla quota di ministri “politici” (perfettamente rappresentati in base al peso specifico dei partiti di appartenenza) non ha tenuto conto della geografia del Governo, che adesso segna in maniera inequivocabile il cambio di scenario.
Ai riconfermati Di Maio, Lamorgese e Speranza, si aggiunge Mara Carfagna in quota Fi, nominata ministro del Sud con delega al Mezzogiorno e alla Coesione sociale, in sostituzione di Peppe Provenzano. La Campania perde così quattro ministri: Enzo Amendola (Affari Europei), Sergio Costa (Ambiente), Gaetano Manfredi (Università), Vincenzo Spadafora (Sport). Casella vuota, addirittura, per quanto riguarda Calabria e Sicilia. Nello scorso Governo, la nomina a ministro del Mezzogiorno del vicedirettore dell’Istituto Svimez rappresentò una chiara indicazione del ribaltone nel ribaltone: l’esecutivo era a trazione meridionale. Giuseppe Provenzano, specializzato alla scuola di eccellenza superiore Sant’Anna di Pisa, studioso del Mezzogiorno e vicedirettore Svimez, responsabile delle politiche sul lavoro del Pd e, da sempre, fiero oppositore dell’Autonomia differenziata, è stata la figura emblematica di uno spostamento baricentrico. Provenzano ha avviato un percorso di credibilità e fiducia nelle politiche di sviluppo e coesione, accelerando la spesa per recuperare lo storico ritardo nell’assorbimento delle risorse e concentrando le stesse risorse su poche misure in grado di dare risposte tangibili ai cittadini. Come il Piano Sud 2030, un progetto organico e strutturale finalizzato alla riduzione delle distanze tra Nord e Sud e tra centri e periferie, aree urbane e aree interne, provando a restituire protagonismo ai luoghi marginalizzati dalle politiche pubbliche.
E fu lo stesso ex premier Conte a riportare il Mezzogiorno in una centralità tematica e politica dopo tempo immemore. Si pensi ad esempio al “Manifesto del Mezzogiorno”, firmato da oltre 100 sindaci e che prevede un grande progetto di salvataggio e rilancio delle aree interne del meridione d’Italia, sostenuto in prima persona dall’avvocato del popolo.
“Non ho sentito Draghi ancora parlare di Mezzogiorno – ha già espresso le sue perplessità il governatore della Campania Vincenzo De Luca prima dell’annuncio dei ministri – Un governo a forte caratterizzazione tecnica farà fatica ad avere rapporti con i territori sia perché non ho ancora ascoltato una volta la parola Mezzogiorno da nessuna forza politica né dal presidente incaricato. Non so cosa si preveda per il Sud in relazione agli investimenti e al Recovery plan, sono cose che dovremo verificare”.
La ministra Carfagna raccoglie un’eredità pesante e preziosa, da non disperdere nelle pieghe geografiche di un isolamento politico. L’ex ministra delle Pari Opportunità dovrà muoversi nel solco già tracciato di una tensione fortemente unitaria, nella consapevolezza di dover incrementare le politiche di coesione per favorire lo sviluppo di alcune aree del Paese, a profonda connotazione territoriale, come quelle meridionali. Indispensabile si rivelerà proseguire il lavoro di Provenzano non soltanto per urgenza di affrontare le conseguenze immediate della pandemia, ma per l’opportunità di risolvere i nodi strutturali che hanno ostacolato la crescita degli ultimi vent’anni e liberare il potenziale inespresso di sviluppo del Sud.
Il tandem Provenzano-Boccia ha lavorato per smorzare la deriva autonomista, circoscrivendo l’azione agli spazi di autonomia che la Costituzione prevede e neutralizzando i tentativi muscolari di Veneto e Lombardia che si erano manifestati nel corso della precedente esperienza gialloverde. E proprio in concomitanza con il ritorno della Lega al Governo, si riapre il dibattito sull’Autonomia differenziata. Il ministero per le Autonomie è occupato dalla forzista filo-salviniana Maria Stella Gelmini. Una premessa non proprio rassicurante. E dalle colonne di Repubblica, il costituzionalista Massimo Villone lancia l’allarme e chiede ai governatori del Sud di vigilare attentamente: “La perdita di Manfredi è una notizia negativa per gli Atenei del Sud. A subentrare a Manfredi vi è l’ex rettrice della Bicocca, la professoressa Messa, che era nel team della trattativa nel 2017 per l’Autonomia differenziata. Ecco, dobbiamo auspicare che i nostri siano timori infondati. Non vorrei che fosse rimessa in campo l’idea del regionalismo spinto che la Lega persegue senza sosta”. Villone poi ammonisce: “Le due filosofie che si confrontano, anche per dare un profilo nel Recovery Plan, sono due: o quella della ripresa della locomotiva del Nord, o quella della riunificazione delle due Italie e del rilancio del Sud come secondo motore del Paese in una prospettiva euro-mediterranea”. Il nuovo Governo è già a un bivio.