Chi ha un minimo di dimestichezza con le grane della post-industrializzazione può inquadrare fin da subito il meccanismo alla base della vicenda ancor prima di leggere un articolo o di informarsi sui fatti. A Battipaglia si è compiuto l’ennesimo delitto ai danni del lavoro con la feroce arroganza tipica delle multinazionali che piombano con voracità su un sito produttivo per poi sbarazzarsene alla prima curva. Quando, cioè, le difficoltà del momento inducono gli alfieri del profitto a cambiare aria dispensando false e inconsistenti rassicurazioni intrise di improbabili manifestazioni d’interesse, di acquirenti pronti a irrompere sulla scena per risolvere ogni cosa e ripristinare la condizione precedente. Un pensiero magico da dare in pasto a famiglie sull’orlo della disperazione, a lavoratori che, come nel caso di Battipaglia, con encomiabile trasporto e viva solidarietà umana hanno intrapreso una lotta per il rispetto, innanzitutto, dei propri diritti, fino alla lucida rassegnazione degli ultimi mesi.
Lo stabilimento Treofan Italy Battipaglia chiude definitivamente, i 52 dipendenti scampati alle procedure di esubero finiscono divorati dalla procedura di licenziamento collettivo. La beffa ulteriore riguarda gli ammortizzatori sociali, in scadenza il 31 marzo: nonostante la possibilità di proroga, come disposto dalla legge di Bilancio, si è preferito lasciar correre. L’azienda, la multinazionale indiana Jindal, motiva la chiusura alludendo all’impossibilità di cedere l’impianto o di procedere con il processo di reindustrializzazione dello stabilimento, ipotesi su cui hanno spinto a lungo i lavoratori. Per loro si profila un quadro devastante, considerando anche l’esclusione dei contratti di solidarietà e l’inutile speranza, accarezzata a più riprese, di un ricollocamento degli esuberi presso gli altri stabilimenti del gruppo, tra cui Terni, già dimensionati per gli attuali e previsti carichi di lavoro nel breve e medio periodo. A nulla è vals la disponibilità del Consorzio Asi, proprietario dei suoli, a ritirare la procedura di revoca dei suoli. Tardivo, o semplicemente inefficace, l’intervento della politica, più abile a interpretare che a imboccare la via della concretezza. “Ennesimo fallimento delle Istituzioni competenti! Ennesima vergogna italiana! Si preferisce salvaguardare gli interessi delle multinazionali piuttosto che rispettare il DIRITTO AL LAVORO! Vergogna!!!”, scrivono i lavoratori.
I sindacati annunciano ancora battaglia, come riportato in un comunicato stampa diffuso dalla triplice. “A distanza di un anno i lavoratori della Treofan Italy Battipaglia si trovano nella condizione di dover ricevere per la SECONDA VOLTA l’attivazione della procedura di licenziamento collettivo.
A seguito dell’avvio della procedura, le OO.SS. e i lavoratori si sono riuniti in assemblea per valutare le azioni più opportune da mettere in campo in concomitanza con il tavolo ministeriale che DEVE tenersi a breve.
Si contestano fortemente le motivazioni alla base dell’avvio della suddetta procedura, in quanto essa fa riferimento all’ impossibilità di reindustrializzare il sito di Battipaglia. Tale condizione è, infatti, difforme dalle dichiarazioni della stessa Jindal che, con una nota di osservazioni in risposta alla Delibera Asi n.366/2019 in merito alla revoca dei terreni non utilizzati, chiedeva alla stessa di non procedere poiché è in corso il processo di reindustrializzazione.
Alla luce dei fatti, oggi il processo di reindustrializzazione è legato alle azioni messe in campo da Vertus e da Asi, le quali, anche se apparentemente distanti, convergono verso un unico obiettivo. Riteniamo, pertanto, fondamentale, la presenza del Consorzio Asi al tavolo di crisi, assieme a tutte le altre parti coinvolte.
Il MISE è ancora in condizione di poter apportare un contributo concreto, ma non tollereremo più eventuali ritardi o mancanze di risposte!!
Intanto, nei prossimi giorni si intensificheranno gli incontri con i lavoratori al fine di poter rendere quanto più forte possibile la manifestazione da tenersi in Via Molise a Roma in occasione del tavolo di crisi.