Traffico di droga. Rischio accanimento su un pensionato malato

Tutto è iniziato con un processo per traffico di droga in Campania. Ora si rischia l’accanimento sul collaboratore pensionato e malato, con problemi psichici.

La vicenda ha inizio nell’ottobre 2020, quando un giovedì il GOA (Gruppo Operativo Antidroga) della Guardia di Finanza, nell’ambito di diverse attività di monitoraggio in Campania, ha effettuato un sequestro di 11 kg di cocaina. 
La notizia in sé può essere considerata positiva. Ma le successive vicende di questa operazione stanno avendo dei risvolti inaspettati, quanto (forse) discutibili. 

I FATTI
Nell’ottobre 2020 il GOA ha pedinato per km una macchina in viaggio sull’autostrada A1, quando all’altezza del raccordo Salerno-Avellino, l’auto viene fermata dagli agenti della G.d.F. (la Guardia di Finanza). Il conducente all’interno della vettura, il signor Mirko (nome inventato a tutela della privacy e dell’incolumità di E. K.), non accenna alcuna forma di resistenza, né alcuna manovra per evitare l’ALT intimato dalle forze dell’ordine, arrestando praticamente subito l’auto. 

Una volta fermi, i finanzieri fanno scendere Mirko dalla macchina, iniziando un’accurata ed approfondita perquisizione di quest’ultima. Dopo aver rispettato l’ALT e mantenendo sempre toni sobri e garbati nei confronti degli agenti, Mirko decide di andare fino in fondo alla cosa, e sceglie di cooperare indicando loro un vano nascosto nell’auto. 

L’AIUTO ESSENZIALE DI MIRKO
La cavità segreta era accessibile solo con una procedura ben definita, che Mirko mostra agli agenti della G.d.F.: così accende l’auto, inserisce un cavetto nella porta USB sita in uno dei braccioli, sbloccando l’apertura del vano nascosto, all’interno del quale vengono ritrovati gli 11 kg di cocaina. 

Mirko è stato arrestato, processato e condannato in primo grado, dal Tribunale di Napoli per detenzione di droga, con ipotesi di reati commessi all’interno di un’organizzazione criminale, con almeno o più di 5 persone. Senza vedersi quindi riconosciuta l’attenuante della pena.

Su questi presupposti, infatti, il giudice Rossetti ha condannato Mirko in primo grado a scontare 8 anni di carcere e a pagare una multa di 30mila euro. 

UN ACCANIMENTO GIUDIZIARIO?
Molti staranno pensando che ha avuto ciò che si merita. Se non fosse per qualche “piccolo dettaglio”: Mirko è un pensionato, che sta cercando di vivere con i 480 euro al mese della sua modesta pensione. Ma c’è un altro piccolo dettaglio: è incensurato.

Questo vuol dire che non ha precedenti penali, cioè che non aveva mai commesso reati prima d’ora, nemmeno una caramella rubata all’autogrill. 

INVALIDO e con PROBLEMI PSICHICI
Prima dell’arresto, Mirko praticava psicoterapia ambulatoriale prescritta dai sanitari, per superare e alleviare il grave scompenso psichico indotto da una brutale aggressione subita nel 2007. Il tutto è stato documentato e verificato in sede di tribunale, con una perizia medico-sociale a firma del Dr. T. Gomell e dall’Ufficio Unico di Assistenza delle Città di Dortmund, Bochum e Hagen, in Germania.

Lo stesso ufficio ha verificato che a Mirko è riconosciuta l’invalidità al 60%, essendo affetto anche dal diabete mellito, oltre che da depressione e sindrome ansiosa.

In estrema sintesi, si tratta di <<detenzione e trasporto illegale di sostanza stupefacente, operata avvalendosi di un soggetto “debole”, pensionato, invalido, con problemi psichici, che vive con circa 480 € al mese e, pertanto, ai margini della società, di cui non v’è prova di stabile cooperazione con associazioni criminali, incensurato e non gravato da alcun ulteriore carico pendente>> così scrivono nella richiesta di appello gli avvocati difensori di Mirko: avv. Francesco Liguori del Foro di Salerno e Davide Ippolito del Foro di Colonia.

UNA CONDANNA BASATA SU IPOTESI
<< Il giudice assume che questo soggetto faccia parte di un’organizzazione internazionale senza fornire alcun elemento di prova sulla collaborazione stabile con tali associazioni di tipo criminale dedite allo spaccio di droga. E’ una pura e semplice opinione, ma non si possono condannare persone sulla base di opinioni>>, spiega al telefono l’avvocato Liguori.

<<Lo stesso giudice nella sentenza sostiene e sottoscrive che l’accertamento dei fatti si è CONCRETIZZATO per effetto della collaborazione>>, aggiunge l’avv. Liguori, che sottolinea quindi la presunta contraddizione con cui il giudice riconosce l’innegabile contributo di Mirko (evidenziato anche nel verbale della Guardia di Finanza), senza però riconoscere “l’ulteriore diminuzione della pena per chi contribuisce all’accertamento della verità”, secondo quanto previsto dal Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309-1990). 

L’APPELLO
Dopo tutto questo, magari molti stanno ancora pensando che il sig. E. K. abbia avuto ciò che si merita. Ma al di là di questa concezione di giustizia antica e incivile quanto il codice babilonese dell’occhio per occhio, fortunatamente esiste un sistema complesso e moderno chiamato Stato di Diritto, dove appunto vengono tutelati i diritti fondamentali di ogni essere umano. Sistema per il quale gli avvocati difensori Liguori e Ippolito hanno potuto ora presentare domanda di appello.

Probabilmente, trovandoci in una condizione disperata e commettendo sì degli errori, nessuno di noi vorrebbe essere giudicato in base a delle ipotesi, che non tengano conto invece di fatti reali e accertati, subendo per questo una pena aggravata. Senza contare che la collaborazione del signor E.K. è andata ben oltre l’aiuto del ritrovamento della droga, tanto da non poter pubblicare qui tutte le preziose informazioni fornite dallo stesso alle autorità giudiziarie, per tutelare la sua incolumità. 

Marco Giordano

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Fonti:

Reato commesso: art. 73 del DPR 309-1990 – Disciplina degli stupefacenti:
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.del.presidente.della.repubblica:1990-10-09;309!vig=2021-04-20 

oppure:
http://www.normattiva.it/eli/id/1990/10/31/090G0363/CONSOLIDATED/20210205 

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Aggravante del reato considerato nella sentenza: 
art. 80 del DPR 309-1990 – Disciplina degli stupefacenti, cioè art. 112 del Codice Penale. 

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