Lo specchio, ridotto in taglienti figure geometriche, dei tempi che percorriamo: un solerte affrancarsi dalle catene di una monotonia virtuale, dalle spire del giorno qualunque – della vita qualunque – affidandosi all’odio come cura ricostituente. Questo è il mantra: colmare le proprie insicurezze, inettitudini, vomitando bile in formato 3.0. Eccole, dunque, nutritissime legioni di nuovi mostri. Soldati in tuta, smalto rosso e Marlboro, fulminei e sgrammaticati nel picchiettare sul nugolo delle tastiere – novelli Clint Eastwood, nel piccolo schermo della quotidianità, sfoderano lesti dalla fondina gli I-phone presi a rate – impegnati nella giornaliera invasione delle periferie virtuali, ogni mattina, bombardano l’etere rigurgitando commenti che spaziano dal deprimente al rivoltante. Eccoli, affrontare qualsiasi notizia – dalla cronaca nera al gossip – con inaudita brutalità. Ogni articolo pubblicato dai media nazionali attraverso le piattaforme social, infatti, diventa calderone di discussioni che scoperchiano un universo in totale decomposizione, feroce, denso nelle sue melmosità esistenziali. Spirito guida di un paese che, alle soglie del primo ventennio dei 2000, si ritrova proiettato nelle chiusure e le nostalgie di un ventennio – tristemente passato alla storia – nato in un travagliato tramonto post-liberale di oltre cento anni fa.
Corsi e ricorsi storici direbbero i più, soffermandosi forse sul complesso delle dinamiche, sociali e culturali, che sembrano fedelmente riprodursi a distanza di un secolo. Sta di fatto che nell’Anno Domini 2019, in un clima di sdoganamento generale – emblematico il rifiorire, in barba ai principi costituzionali, di simbologie legate al fascismo – uno Stato, messo alle strette da un clima avvelenato, ritiene opportuno assegnare la scorta a Liliana Segre, senatrice a vita. Donna di 89 anni sferzata, bambina, dalle gelate di un campo di concentramento nazista. Lucida e disarmante testimonianza degli orrori che l’uomo ha riservato all’altro uomo in nome della prevaricazione razziale.
Una sconfitta su tutta la linea per la reputazione di un paese, l’Italia, che si risveglia in balia del più scomodo dei fantasmi sopraggiunti dal passato. Un disastro totale se ci si imbatte nel brulichio dei commenti, disumanità in pillole, che ha accompagnato la notizia della protezione assegnata alla senatrice. Non è di certo nuovo l’utente medio italiano a simili imprese, basti pensare al gran numero di simpaticissimi “Buon appetito ai pesci” che ha contornato ogni notizia di sbarco finito in tragedia fra i flutti del Mediterraneo. Ci si soffermi poi sulla crociata indetta contro Greta Thurnberg, giovane attivista svedese – viva voce dei drammi ecologisti del nostro tempo – a cui è stato augurato a più riprese il “meglio” dagli internauti di mezz’età che, presumibilmente, non devono aver riscosso successo quando è toccato a loro – appena sedicenni – affrontare tematiche complesse davanti alla folta platea delle Nazioni Unite.
Inquietudini e ombre di una nazione che, ora dopo ora, demonizza la cultura e la lascia cadere al suolo come fosse una zavorra di cui vergognarsi. Intanto si moltiplicano azioni di matrice nazionalista che mettono in discussione i principi costituenti delle libertà individuali. È il caso della “Pecora elettrica” – locale antifascista del quartiere capitolino Centocelle – dato alle fiamme nella notte, è anche il caso del “Baraka bistrot” che – espressa la vicinanza ai colleghi della “Pecora elettrica” – ha subito uguale trattamento. Desta ribrezzo l’atto intimidatorio subito a Verona dal writer Cibo – che trasforma svastiche e croci celtiche in arte – a cui hanno infilato un’innocua bomba carta sotto la macchina. È anche il caso del comune di Predappio – noto per aver dato i natali a Benito Mussolini – che ha puntato il dito contro una gita scolastica diretta ad Auschwitz definendola faziosa, sottraendosi dunque dal sovvenzionarla.
Il meteo, un tempo incerto, ora promette neri temporali e, chi nutre simpatie destrorse, stigmatizza il tutto con invidiabile noncuranza. Cronache dal 2019, nulla di nuovo sotto il sole verrebbe da dire, eppure l’odio razziale è ormai legittimato, la guerra all’arma bianca fra ultimi e penultimi inizia a mietere le sue vittime. Non è valida la regola di sopravvivenza cara a chi non si schiera e abbassa lo sguardo di fronte alle ingiustizie, il fascismo non è uno spauracchio da dare in pasto agli astanti della rete, esiste e si nutre di inconsapevolezze e spalle girate.
Il fascismo esiste, diventa orrenda consuetudine, ed è una montagna di merda. Va detto così, in maniera cruda ingoiando il timore di mangiarsi le parole, come si era soliti fare con la mafia. Altra entità rispetto a cui molti hanno giurato e spergiurato di non sapere nulla ma – dato incontrovertibile – è sempre andata a braccetto con il vastissimo corollario delle prepotenze squadriste.
Passano i giorni inseguendosi l’un l’altro, intanto annaspiamo nel notevole reflusso gastroesofageo della storia. L’odio è un denso letame che aumenta la sua massa multiforme. Letame in cui, senza sosta e con gran sollazzo, già qualche decennio fa sguazzava un nutrito manipolo di soggetti in camicia nera, aggiornatisi oggi ad un dress code più accattivante e moderno: completo blu notte e spilla dorata del fu Alberto da Giussano.