La serie, ambientata nell’universo fumettistico di Michele Rech (in arte Zerocalcare), racconta delle vicende del protagonista (Zero) e dei suoi amici Sarah e Secco, nel quartiere di Rebibbia nel cuore della capitale. Questo avviene attraverso flashback ed aneddoti, che hanno come voce narrante quella dello stesso Zero. Durante questo lungo viaggio, che parte da quando Zero era un ragazzino, fino ad arrivare in età adulta, il protagonista cerca di risolvere ed affrontare i problemi e le ansie quotidiane che lo accompagnano, sempre accompagnato dalla sua “coscienza”, che all’interno della serie è rappresentata dall’Armadillo (la cui voce è data da Valerio Mastandrea).
Il “viaggio” ha una durata di 6 episodi di circa 20 minuti l’uno, nei quali però Zero riesce a raccontare problemi di natura personale, lavorativa e sociale, come la solitudine, l’insicurezza e l’inadeguatezza, in maniera molto “leggera”, attraverso battute e frasi sarcastiche comprensibili a tutti; il tutto in dialetto romanesco (scelta criticata da alcuni, ma che convince e che consente di vivere ancora di più la serie, rendendola speciale a livello di stile e soprattutto, essendo ambientata a Roma avrebbe perso anche un po’ quella che è la sua essenza se i dialoghi fossero stati interamente in italiano). La scelta di raccontare il tutto in questo modo specifico è un’ottima scelta, oltre per il fatto che determinati concetti possano arrivare più facilmente ad una fascia più ampia di pubblico, ma anche perché non rende per nulla pesante la visione della serie.
In conclusione, il finale della serie ci lascia con un senso di malinconia, ma anche di speranza perché, anche se ci troviamo dinanzi ad ansie e paure che sembrano alle volte insuperabili e ad un futuro che può sembrarci incerto, ci sarà sempre “qualcuno” o qualcosa che ci permetterà di superare queste difficoltà e che magari ci darà la forza di uscire dai quei famosi “bordi” che la società vuole che seguiamo, perché in fin dei conti: “Semo fili d’erba, te ricordi?”.