Affondare come una lama nel burro nel disagio del mezzogiorno, lucrare altri consensi nelle roccaforti meridionali di M5S e Pd. La linea è ormai tracciata nel quartier generale della Lega, in fermento dopo le ultime ed estenuanti frizioni con i partner di governo. Ormai non li accomuna più niente, i due governi all’interno del governo si danno battaglia senza soluzione di continuità, e adesso saltano anche i grandi baratti che hanno contraddistinto l’operato gialloverde fino a questo momento: io concedo a te se tu concedi a me, anche se si tratta di proposte in antitesi, nel rispetto dei cavalli di battaglia, delle misure di bandiera irrinunciabili per qualsiasi slancio propagandistico futuro. Ogni provvedimento è uno scoglio da superare con pazienza e tenacia, preventivando di dover ingoiare prima o poi il boccone amaro sull’altare del governo. L’ostruzionismo, tardivo, del M5S scompagina i piani del Lega nel breve termine. Un clima teso spinge l’esecutivo sull’orlo di una crisi perenne, provoca rinvii a raffica, accentua le lacerazioni: dalla Tav all’autonomia differenziata, dalla giustizia alla tenuta istituzionale, dal Russiagate alle derive autoritarie del leader della Lega. In un crescendo di ricatti e ostilità, i due contraenti rispecchiano in pieno la loro idea di politica, un flusso incontrollato di proclami senza possibilità di una vera mediazione. I fedelissimi di Salvini spingono il vicepremier a rompere con gli alleati di governo, anche se per l’unica alternativa possibile, le urne, chiusasi la finestra autunnale bisognerà attendere i primi mesi del 2020. Dopo, ossia, aver affrontato la manovra economica.
La media degli ultimi sondaggi indica la Lega al 37%, a un passo da quel 38-39% valevole per l’autosufficienza, una vittoria in solitaria o al massimo con il supporto di Fdi e dei dissidenti totiani di Fi (lo strappo del governatore ligure con Berlusconi segna la nascita di un partito satellite della Lega). Ma per raggiungere l’obiettivo c’è da conquistare almeno la metà dei collegi uninominali nel Sud Italia, macro area del Paese dove la Lega è cresciuta alle Europee ma senza quell’impeto che ha consentito all’onda sovranista di abbattersi sul Paese e di inghiottire tutto, come avviene praticamente nelle regioni settentrionali. E allora il ministro è pronto per quello che i suoi definiscono “giretto estivo al Sud”, un tour nel mezzogiorno che lo calerà in quelle realtà dove prevalgono le tensioni sociali. Il giorno di ferragosto esordirà nella Castel Volturno della camorra e dei migranti per rastrellare consensi nel modo che gli è più congeniale: soffiare sul fuoco, promettere protezione e sicurezza. Prima ancora comparirà in Molise poi di nuovo in Campania, la regione del Sud che Salvini batterà di più anche in ragione delle Regionali de prossimo anno. E proprio il governatore Vincenzo De Luca ha ironizzato sull’incursione del ministro in Campania: “Avremo un turista in più”. Poi toccherà alla Calabria e alla Sicilia per porre le basi di una lunga campagna elettorale in cui reale e virtuale si compenetreranno fino a confondersi. Mentre le urgenze e i provvedimenti rimangono sul tavolo, ostaggio della stagione del non governo e della campagna elettorale permanente.