“Quattro. Pesanti come un colpo.”
L’incipit de “L’amato me stesso” di Majakovskij me lo sento rimbombare in testa (pur rischiando di citarlo impropriamente) dopo il passivo in cui si ritrova la Salernitana a fine primo tempo contro quella che dovrebbe essere una diretta concorrente per la salvezza: O-4 per l’Empoli all’Arechi. Senza appello, senza nulla che dia la possibilità di aggrapparsi a qualsivoglia speranza per la prossima gara.
Il secondo tempo vede due gol della Salernitana che mettono in luce la stella Ribéry, suo l’assist del primo gol e sempre dai suoi piedi partono le conclusioni più pericolose. L’ex Bayer Monaco è un’oasi in mezzo al deserto. Per il resto i due gol sono un fuoco fatuo: il risultato è compromesso.
Ci sono immagini che rimangono: quelle che vedono la Sud incitare la squadra prima e dopo il rigore di Pinamonti che fa calare il poker all’Empoli, i cori che dai distinti sempre più nutriti si rivolgono contro Fabiani; ci sono le lacrime quelle dei più piccoli che fanno tenerezza. Rimandano a quelle lacrime che ognuno di noi abbia versato in partite capaci di trafiggerci il cuore: dove il ricordo lo si porta appresso. Da finali playoff, spareggi promozione o ancora partite che potessero essere da spartiacque per campionati più ambiziosi.
Tuttavia la domenica seguente si ricominciava a sognare poi una volta cresciuti, la rabbia e la delusione si cercavano di metabolizzare sin dopo la fine della partita, c’era un rito ormai abitudinario: le conversazioni che dall’uscita dello stadio con i compagni di avventura continuassero fino in macchina e poi per tutto il tragitto fino ad arrivare a casa. Possibile che si allargassero ad altri partecipanti se si fosse voluto fare capolino in qualche ristorante; oppure, i giorni seguenti la partita fosse ancora argomento di discussione, soprattutto se la rabbia non fosse ancora svanita.
Di tutto ciò, ora, mi rimane una sorta di sensazione anestetizzante, quasi come se ci si aspettasse tutto ciò e lacrime e delusione fossero ormai un appendice di contorno. Ci si risveglia dal torpore quando poi la sconfitta prenda la forma di umiliazione proprio come sia accaduto contro l’Empoli. E facendo autocritica è proprio la rassegnazione che si debba combattere, perché se è vero che il campionato abbia preso il suo segno, quello del futuro della nostra Salernitana brancola nel buio e vive un presente indecoroso; il quadro dirigenziale con a capo la figura di Fabiani, si nasconde dal prendersi le proprie responsabilità dopo averle addossate in maniera totale a Castori: si diceva un tempo che le vittorie avessero moltissimi padri, mentre le sconfitte fossero orfane. Eppure non poco tempo fa c’era chi chiedeva le scuse dalla tifoseria per l’operato della vecchia società. Il mondo gira al contrario…
Nell’attesa del prossimo incontro, credo sia quantomeno opportuno, esprimere solidarietà ad Antonio Esposito per l’aggressione verbale subita fuori dall’Arechi in occasione del match contro l’Empoli; così come sia giusto esprimerla a Gigi Caliulo per le offese continue subite dopo le critiche alla odierna dirigenza nonché vecchia della società di Lotito-Mezzaroma. Il dissenso è sintomo di una democrazia viva, testa la salute di una stampa libera, un valore che non può essere comparato a nulla: non c’è accredito che tenga.