Quando agli sgoccioli del match Djuric ha calciato alle stelle un pallone semplice da depositare in porta anche per l’attaccante della squadra aziendale impegnato nel classico ‘scapoli ed ammogliati’ del giovedì, l’ambizione e l’entusiasmo del tifoso granata, da tempo costretti ad ansimare in una condizione spirituale profondamente repressiva, hanno lasciato spazio ad un saggio disincanto intriso di amara ironia. Uno stato d’animo meno molesto di quello attraversato nel post partita di Cittadella, quando la svirgolata di Giannetti a tu per tu con Paleari aveva cestinato l’opportunità di portare a casa un punto ormai insperato, semplicemente perché la Salernitana ha aggiunto un tassello al mosaico sufficientemente soddisfacente della sua classifica.
Per il resto, nonostante una prestazione animata dalla volontà di ritornare a condurre la gara da protagonisti, i calciatori di Gian Piero Ventura hanno confermato quanto si sa, ormai da tempo, sul loro conto. Essi compongono una squadra interessante dal punto di vista tecnico, abbastanza fornita di individualità in grado di imprimere in ogni match accelerate improvvise sul piano della fantasia e dell’imprevedibilità, ma risultano, nel loro insieme, strutturalmente impossibilitati a preservare una costanza di rendimento, sul terreno del temperamento, dell’ordine tattico, del carisma e della concretezza calcistica. Pertanto, il gruppo messo a disposizione dell’ex allenatore della nazionale, è destinato a proseguire un percorso caratterizzato da estemporanei gesti tecnici brillanti, capaci di riconciliare con il gioco del calcio, intervallati però da errori grossolani che vanificano l’interpretazione offensiva del match e non riescono a gestire con padronanza difensiva la pressione esercitata dai rivali di turno. La Salernitana è un palazzo ricco di fregi e gradevoli temi decorativi, ma le sue fondamenta precarie non lasciano dormire sonni tranquilli.
La modifica del progetto necessita di correttivi a base di cemento armato, di un lavoro massiccio da portare avanti nei locali del cantiere pallonaro adibiti alla pianificazione della strategia tecnico-tattica. La differenza tra la narrazione intellettualmente onesta e la presa in giro a colpi di dichiarazioni roboanti sta tutta qui. Due partite ancora da giocare, prima della lunga sosta invernale e dell’inizio di una sessione di calciomercato che potrebbe alimentare ambizioni e sogni oppure, semplicemente, confermare l’approssimazione pregna di sostanziale disinteresse che caratterizza da quattro anni abbondanti l’operato della proprietà. Non si parte da zero, perché in organico sono presenti calciatori (Lombardi, Kiyine, Cicerelli, Akpro, Dziczek, Maistro, Firenze, Heurtaux) capaci anche di fare la differenza in questa categoria, però è assolutamente necessario acquisire tre/quattro elementi a cui venga assegnato il delicato compito di trasformare un insieme di virtuosi del pallone in un complesso autorevole, sicuro delle proprie possibilità, concreto e solido. Per realizzare questo mini programma occorrono tempestivi investimenti, determinazione e competenza, ossia tutto ciò che ha fatto registrare una vistosa latitanza nell’ultimo quadriennio. I reparti che dovranno essere potenziati in fretta sono soprattutto la difesa e l’attacco, ma anche a metà campo sarà necessario reperire un calciatore con determinate caratteristiche. La retroguardia, sperando che il prato verde restituisca l’Heurtaux che abbiamo ammirato in passato nelle fila dell’Udinese, necessita di almeno un elemento che sappia guidare la linea, troppo spesso incerta nella lettura tattica, compassata e distratta. Un leader che sappia governare le frequenti titubanze di elementi interessanti (Karo e Jaroszinski) ma ancora acerbi e impegnati a completare il loro fisiologico percorso di crescita.
In avanti, in attesa che Cerci dia un segnale della sua presenza in città, sperando che Gondo mantenga inalterata la verve palesata nelle ultime due gare e diventi ancora più concreto in fase di finalizzazione, i portafogli di Lotito e Mezzaroma dovranno tirar fuori i soldini per portare a Salerno un attaccante con la ‘A’ maiuscola. Un cecchino provetto, da doppia cifra pluriennale, protagonista nella squadra dalla quale dovrà essere prelevato lavorando sul terreno delle lusinghe economiche e dei progetti vincenti. Il ‘last minute’ o il pluridecorato seduto ai giardini pubblici, intento a rievocare nostalgicamente il passato, è un triste film già visto e non interessa all’esigente tifoseria granata. Serve un attaccante moderno, spietato nei sedici metri ma anche in possesso di una qualità tecnica che lo metta in condizione di dialogare con la squadra e di esaltare le doti dei numerosi centrocampisti di qualità agli ordini di mister Ventura. Infine, non meno importante appare l’innesto di un centrocampista universale e carismatico, ossia un elemento tecnicamente completo, versatile dal punto di vista tattico e, soprattutto, abile a mantenere compatta la squadra nei momenti salienti e sofferti del match. Un calciatore che sappia essere la giusta sintesi delle geometrie di Dziczek e della grintosa disciplina tattica di Di Tacchio, un mix tra la verve tecnica dei ‘leggeri’ Kiyine, Maistro e Firenze e il vigore fisico e dinamico di Odjer e Akpro. Tre calciatori per trasformare la dimensione onirica in una realtà finalmente vincente. Tre innesti che allontanino le demotivanti stanchezze imposte dall’operato di una proprietà anaffettiva e poco attenta alle aspirazioni della tifoseria granata.