“Tanto tuonò che piovve, a metà”. La sfida delle regioni non ha, per ora, un vincitore assoluto: Emilia-Romagna al centrosinistra, Calabria al centrodestra.
Volge al termine una campagna elettorale martellante del leader della Lega che – fra un piatto di tortelli, un hashtag e un pensierino al cuore immacolato di Maria – utilizza una propaganda sempre più aggressiva. La chiave di lettura del modus operandi salviniano è sintetizzabile nell’aggettivo “invadente”, che sia al citofono, con l’indole dell’avvinazzato che cerca rogne, oppure a far caciara nella piazza di un paese – Bibbiano – che chiedeva soltanto tranquillità dopo la buriana mediatica estiva. La spallata di Salvini è fallita, crolla il mito della “contro-liberazione”, la clava da utilizzare si ritorce contro. Stefano Bonaccini, governatore uscente, non accoglie le provocazioni e con grande signorilità – merce rara di questi tempi – resta in sella. Zingaretti, dal Nazareno, raccoglie con viva soddisfazione il risultato emiliano-romagnolo e con colpevole distacco la debacle calabra. Rende grazie immediate alle sardine, alla rete intessuta per aggregare che, accomunata all’evidenza del buon governo Bonaccini, ha illuminato i tre passaggi fondamentali per la vittoria: il risveglio delle piazze, l’aumento esponenziale dell’affluenza alle urne, il proliferare di un voto utile che, anche se indirettamente, premia il PD.
Il 26 gennaio passa agli archivi con un sospiro di sollievo per il Partito Democratico che, nonostante il collasso totale dell’alleato di governo a (quasi) cinque stelle, scongiura – almeno per il momento – la crisi anticipata. Doppio versante da scollinare per le anime del centrodestra, entrambi conducono al purgatorio. Ultimi scampoli di Forza Italia, lo scenario è da villaggio vacanze dei pensionati ma si brinda comunque beatamente al 55% della Santelli sulle note di “Gloria”. Il tandem FdI – Lega lenisce la delusione rivendicando rinnovate vicinanze, ritrovarsi per fungere da collante e lavorare – chi al megafono, chi alla ruspa – insieme sul territorio.
Il dato racconta ancora una volta di un’Italia a due velocità. Così, mentre la rossa Emilia soffia via lo spauracchio del “cambiamento”, la Calabria si lascia avviluppare dalle spire sovraniste. Sintomo di una gestione della cosa pubblica che a Nord, considerando il complesso economico e sociale più fluido, tiene; al Sud invece – frenata da un disagio sociale endemico e dalle incolmabili lentezze burocratiche – fa a pugni col malcontento di una popolazione che non teme di saltare nel vuoto e, scheda alla mano, alterna la preferenza da esprimere a seconda del grado di disillusione covato nel quinquennio precedente.
Continua senza sosta la disgregazione del M5S che, dilapidando quanto guadagnato sotto forma di consenso durante gli anni, non supera lo sbarramento (fissato all’8%) in Calabria e, soprattutto, raccoglie in Emilia il peggior risultato di sempre. Il Movimento sembra arrivato al capolinea, paga un percorso costellato di scelte errate, paga innanzitutto l’arte dello sconfessare i punti programmatici che, nell’arco di 13 anni, avevano condotto i pentastellati dai “vaffa” di Piazza Maggiore ai “sissignore” di Montecitorio.
Un’altra tenzone elettorale è volta al termine e, in attesa dei prossimi appuntamenti, si ricominciano a delineare le strategie necessarie. Ci inoltriamo in una calda primavera, sulla Guida Michelin elettorale figurano all’orizzonte Puglia e Campania, regioni roventi con consistenti drammi ambientali da affrontare e un substrato di illegalità che intonaca le fondamenta del sistema. Siamo del tutto certi, però, che il navigatore automatico del Capitano – non programmato per captare i problemi – segnalerà: orecchiette con le cime di rapa, focacce, sfogliatelle, pizze fritte, panzarotti e si spera pure un bel “cuoppo” di fumanti pernacchie. Nell’immediato la maggioranza di governo dovrà limare le distanze interne e accelerare alla ricerca di soluzioni. La sinistra, guidata dal nuovo sentimento di unità, dovrà assumere decisioni – anche drastiche – volte ad accorpare un elettorato radicale ed allontanarsi a poderose bracciate dalla palude centrista in cui Matteo Renzi, con Italia Viva, si accinge a gettare l’ancora per poi pescare a strascico fra i moderati provenienti da entrambe le correnti. Per concludere, occhio alle forze di destra che – svestito il saper perdere tanto caro a de Coubertin e la sbornia da ultimo bunga bunga dei forzisti – torneranno a scampanellare con rinnovato ardore populista, con l’insistenza di chi, esacerbando i toni del confronto, non nutre il dibattito, anzi. Ne esaspera il contraddittorio.