Essere tifosi della Salernitana è, a volte, assimilabile al sentirsi come colui che consegue il miglior master – se esistesse davvero – di cattiva interpretazione del buddismo tibetano. Perché gli eventi che costellano la galassia granata sono così ripetitivi da rappresentare, nel loro insieme, una sorta di Karma autodistruttivo. Per contenere il flusso negativo di pensieri ed azioni, unica soluzione capace di arrestare la ciclicità di dinamiche che stanno progressivamente annichilendo la passione di una tifoseria che ha fatto – e continua a fare – la storia del calcio italiano, bisognerebbe infatti incamminarsi sulla strada della consapevolezza ed analizzare con fredda oggettività il progetto calcistico di Lotito e Mezzaroma.
Passaggio decisivo per non continuare a commettere gli stessi errori nell’interpretazione della realtà pallonara cittadina. Transizione che tarda ad arrivare, finendo per spalancare la porta alle abituali illusioni di sempre che, gradualmente e sistematicamente, si trasformano in dolorose delusioni. Quattro anni di fallimenti calcistici, evidentemente, non sono bastati per analizzare, con presenza mentale vivida, carenze strutturali degli organici, disorganizzazione societaria, promesse senza fondamenta, propositi velleitari e genuine fughe in avanti di semplici innamorati del cavalluccio. Un quadriennio sconfortante che, purtroppo, non è riuscito a tradursi neanche in salvifica lezione tesa ad arrestare saggiamente le filippiche strumentali di tromboni autoreferenziali, i quali, attribuendosi la patente di ‘veri’ tifosi (in questa categoria registriamo anche la mortificante presenza di alcuni esponenti del giornalismo nostrano), spacciano per attaccamento alla maglia il meschino proposito di compiacere una proprietà che continua a svilire le legittime attese di una tifoseria resa claustrofobica dall’anonimato calcistico che la pervade.
La sconfitta di Pisa, che si aggiunge a quella di Venezia e ai due pareggi interni consecutivi, altro non è che il naturale campanello d’allarme partito dal rettangolo verde, necessario a riportare tutti con i piedi ben piantati in terra. Nulla di catastrofico o di irrimediabilmente compromesso, perché la truppa granata resta un gruppo mediamente competitivo e in grado di battagliare fino al termine della stagione strizzando l’occhio alla zona play off, traguardo tutt’altro che impossibile, se consideriamo le sei poltrone da aggiungere alle due promozioni dirette, ma che, incredibilmente, la gestione Lotito-Mezzaroma-Fabiani non è mai riuscita a tagliare.
La vita, nella fattispecie quella della squadra cittadina, si valuta con i dati di fatto. Le suggestioni, i sogni e le speranze aiutano a tollerarla quando essa si dimostra avara di soddisfazioni, ma non potranno mai trasformarla in madre benevola se i frutti concessi sono costantemente aspri e difficili da digerire.
Anche quest’anno, il refrain non presenta modifiche sostanziali. Squadra incompleta, calciatori dal radioso passato ma incapaci di incidere nel presente ed acquistati senza verificarne a fondo lo stato di salute, paternalismi lotitiani, settore giovanile mediocre, precoci aspirazioni di una tifoseria già anomalamente proiettata alla prossima sessione invernale di calciomercato. E poi, ancora, città spaccata in due, stilettate tra il tecnico e la proprietà ed idillio estivo già in fase di meticoloso monitoraggio. Insomma, un film già visto che scava nuovi anfratti di disillusione in un popolo calcistico che ha smesso di assimilare il calcio ad un momento di sana evasione e di riscatto sportivo, se non – per alcuni – addirittura sociale.
Ci sarebbe bisogno di una differente narrazione gestionale, programmatica e tecnica, ed invece ciò che emerge puntualmente è un eterno procedere a vista, una precarietà tecnica che, alla lunga, finisce per domare anche i sogni della torcida più paziente e visionaria.
Questa squadra, al di là delle plateali smargiassate dialettiche di Lotito, ripetutamente smentite da Ventura nel corso delle conferenze stampa pre e post partita, non ha i mezzi tecnici per raggiungere l’unico obiettivo che stia veramente a cuore alla tifoseria granata: lottare, esibendo argomenti validi, per la promozione in massima serie. Non lo può fare perché la rosa è incompleta in tutti i reparti, prigioniera delle incognite che accompagnano la sorte calcistica dei calciatori più rappresentativi. La difesa è fragile e non garantisce la solidità richiesta alle squadre destinate a tagliare il traguardo. Le prestazioni del centrocampo sono indissolubilmente legate alla qualità ed al temperamento di Akpro, ma il ragazzo, giunto ormai alla terza stagione in granata, tormentato da ripetuti infortuni, fatica a giocare con continuità. Alle sue spalle non registriamo la presenza di un valido alter ego. L’Attacco, infine, con un Cerci nemmeno al trenta per cento del suo rendimento passato, non può pretendere che il problema del gol sia risolto dal quartetto formato da Djuric-Giannetti-Jallow-Gondo, discreti calciatori ma da sempre litigiosi con il riferimento numerico della doppia cifra, unico parametro autentico per valutare la reale incisività offensiva di una punta.
Tutto da rifare? Assolutamente no. In organico sono presenti elementi di sicuro spessore tecnico (Cicerelli, Kiyine, Firenze, Lombardi), ma la spina dorsale, da sempre asse portante di una squadra, non può, salvo auspicabili miracoli calcistici, aspirare ad un ruolo da protagonista.
Pertanto, alla luce di queste considerazioni, sarebbe il caso di dar vita ad un ormai improcrastinabile esercizio di onestà intellettuale, attraverso il quale si dica chiaramente che questa squadra, così com’è strutturata, non possiede la forza per diventare dominante su ben diciassette compagini della serie cadetta. Ammetterlo, magari spiegando una volta per tutte l’incapacità, l’impossibilità (o la volontà?) di alzare l’asticella, non addolcirebbe la crescente e dolorosa frustrazione del tifoso granata, però potrebbe servire quantomeno a gettare le basi per un tentativo di rapporto meno conflittuale tra la proprietà e la piazza.
In questo quadro calcisticamente desolante, i ripetuti insuccessi dell’ippocampo impegnato in territorio cadetto, secondo i megafoni notoriamente teneri con una società sempre più distante e deludente, rappresenterebbero l’inevitabile effetto collaterale delle danze macabre partorite dagli inquieti gufi appollaiati sui tronchi secolari di Salerno e provincia. Restando in tema di fauna ornitologica, è quasi ora che qualche struzzo tiri fuori la testa dalla sabbia.