Della vicenda Sea Watch e dell’arresto della coraggiosa capitana Carola Rackete, un dato emerge chiaro e inequivocabile: 42 anime sottratte all’annegamento e in cerca di un porto sicuro, costituiscono per l’effettivo capo politico del governo, Matteo Salvini, un prezioso dono da tramutare in consenso. Sulla falsariga del caso ‘Diciotti’, la Sea Watch ha invaso la scena mediatica nel volgere di un dibattito sempre più inquinato. Un’efficace arma di distrazione di massa che, alimentando la paura, le distorsioni e gli istinti triviali, concorre a sotterrare il resto, a distogliere l’attenzione da una serie di problemi reali, di temi e fenomeni decisivi, scomparsi dal vocabolario di governo. In primis, il lavoro.
Gli ultimi dati Eurostat, riferiti all’occupazione nel 2018, forniscono un quadro preoccupante. Quattro su cinque delle regioni con il tasso di occupazione più basso in Europa si trovano nel Sud dell’Italia con meno della metà delle persone tra i 20 e i 64 anni che ha un lavoro a fronte del 73,1% medio in Ue. Il tasso di occupazione per le persone tra i 20 e i 64 anni si attesta al 44,1% in Sicilia, al 45,3% in Campania, al 45,6% in Calabria e al 49,4% in Puglia.
Nelle scorse settimane, anche in Campania, i sindacati di categoria hanno indetto scioperi, e i lavoratori si sono riversati in piazza per ribadire la centralità del lavoro, degli aumenti salariali, delle ristrutturazioni innovative. Con la mobilitazione, i sindacati si sono riappropriati del protagonismo nei processi di cambiamento, brandendo la funzione critica che da sempre li contraddistingue. Un atto non da poco, in tempi mai così duri per i lavoratori, colpiti da una crisi di rappresentanza senza precedenti e sostanzialmente privi di forza contrattuale. Rivendicare forme di partecipazione dei lavoratori, il rilancio dell’industria, investimenti, sviluppo compatibile e tutela dell’occupazione, assume allora un’importanza vitale. Il governo non ha uno straccio di piano industriale, nemmeno sugli investimenti concernenti l’innovazione tecnologica. Nel caso del M5S, l’abilità nell’interpretare le istanze ha le settimane contate: la fiducia è a tempo, in assenza di soluzioni. Il rilancio è inesistente e gli effetti si traducono in mancanza di prospettive, cui si somma l’arretratezza storica del Sud.
La debolezza dell’industria nel Mezzogiorno rappresenta uno dei principali motivi dell’esodo di massa dei giovani. Scarseggia il lavoro qualificato, languono modelli di sviluppo orientati all’innovazione. E si assiste, inesorabilmente, al declino delle partecipazioni statali e alla più totale disillusione in merito ai piani per il Mezzogiorno che ogni governo dal dopoguerra ha annunciato per poi dimenticarsene. Una situazione che ha imbandito la tavola per le multinazionali “mordi e delocalizza”, i cui effetti sono stati mortiferi.
Whirpool, Treofan, Mercatone, sono oltre 18 le vertenze in Campania. In Italia tra tagli all’orario e chiusure sono andati in fumo 272 milioni di reddito e allo stato attuale più di 300mila lavoratori rischiano il posto. La chiusura di una fabbrica al Sud incrementa il deserto sociale ma, soprattutto, permette alla criminalità organizzata di speculare sulla disoccupazione e sulla povertà di intere periferie. Il dramma del lavoro è attiguo al termine mafia, parola mai contemplata dalla narrazione salviniana, se non per intestarsi il merito assoluto di qualche operazione di polizia (magari, in corso d’opera), e salvo omaggiare le figure di rilievo della lotta alla mafia nei giorni in cui si celebrano altri caduti, meno graditi al ministro. Tralasciando lo scandalo Arata, il caso Siri e tutti gli altri legami torbidi che la Lega ha stretto con ambienti avvezzi ad atteggiamenti di stampo mafioso.
Senza puntare sulla riconversione industriale, su innovazione, scuola e ricerca, il Sud è destinato a soccombere e a rinforzare una richiesta di protezione, puntuale ricaduta di chi si arrende a un destino avverso. Consegnarsi a un padrone, sia esso un boss mafioso o una figura autoritaria figlia dei tempi. Spesso, l’uno ingloba l’altro. Ed è il nemico la colla del popolo. Così, nel vocabolario del governo, il termine inflazionato è “immigrato”.