Tanto tuonò che prevalse la siccità ideologica. Sintomo di un morbo che parte da lontano, troppo lontano. Salerno è così, in fondo. Non è la freschezza delle idee a far pesare l’urna, bensì lo scambio di favori. Sfiancante realtà, il clientelismo è piaga ultra-ventennale, chi si indigna ha l’anima impiastricciata.
Volge al termine, al fine, quel bel periodo in cui a volare sono intenzioni e promesse e stracci: nove aspiranti sindaco, milioni di aspiranti consigliere. Colpo d’occhio — o di teatro, che dir si voglia — offerto dall’impresentabilità di alcune candidature: non tanto per la giurisprudenza, quanto per il grado di scolarizzazione.
Candidature da metropoli, paradossalmente, per una cittadina che attraverso un processo osmotico anche abbastanza veloce — regalandosi un giro sulle montagne russe edificate dall’ISTAT — si svuota: da Sud a Nord senza soluzione di continuità.
Il caos, neanche a dirlo, è indisturbato padrone di casa. Nell’era in cui la viralità è affidata alla spunta blu di Whatsapp, si indica come avvelenatore di pozzi chi porta a galla dinamiche conosciute da tutti e denunciate da pochi. Le partecipate, del resto, rappresentano il bacino felice in cui sguazzare. Checché ne vogliano dire le pudiche vergini dell’incorruttibilità: è qui che entra in gioco Gauguin, “La visione dopo il sermone” pare sia stata dipinta in Piazza della Libertà.
Tristemente, la politica è l’arte di chi urla più forte e di chi minaccia rappresaglie legali in maniera più convinta. Banale, vero? Provate a contraddire questo assunto. Provate pure a riscaldare al microonde sfilze di lessemi appartenenti ad un canovaccio trito e ritrito: valori, lavoro, opportunità, rialzare teste, riprendersi sovranità, governi del fare e disfare, libertà, civiltà, istruzione e sanità. Del senno di poi son piene le fosse, i programmi e finanche i discorsi.
Infervorati e nobili fin quando si sfilacciano dal tratto vocale all’intenzione; sottili abitatori del sottobosco quando si tramutano in pretese istituzionali; abitudine retorica e nulla più, infine.
Ancora poche ore, comunque, poi si saprà se il Gran Delfino riuscirà finalmente a guadagnare diritto di parola nonostante l’ingombrante presenza del Re Sole.
L’unica città al mondo, esclusi gli strascichi del blocco sovietico, in cui ancora vige l’ombra di una Nomenklatura sui generis. La gente, tuttavia, appunta fra corteccia e meningi il volto del Governatore, non quello del Sindaco né il simbolo di un partito che partito non è.
Il doppio paragone, in effetti, calza a pennello, hanno fatto specie le dichiarazioni del Presidente della Regione Campania, nulla di nuovo per carità: “Salerno è De Luca”.
Deliri di onnipotenza, trucchi da gran sceneggiatore: niente di più. Laddove l’ancient regime è pane quotidiano, condanna agrodolce e silenzio assenso.
Laddove le opposizioni preferiscono rimanere tali, ché lo scranno è ben pagato e le proposte restano tali: troppo faticoso provare a realizzarle, meglio utilizzarle come pretesto canoro o scusa per alzarsi al mattino e arraffare consenso.
Questo è, se vi pare.