Neanche il miglior sceneggiatore avrebbe potuto immaginare un film che avesse come trama gli ultimi 12 mesi della Salernitana.
O, quanto meno, se l’avesse fatto si sarebbe poi autocensurato una volta resosi conto di essere caduto nel grottesco.
Perché anche nell’arte e nel cinema ci sono delle regole non scritte che non possono essere violate.
La realtà e la vita, però, a differenza del cinema, non conoscono il concetto di inverosimile e quest’anno ne abbiamo avuto la dimostrazione qui a Salerno: a scrivere la sceneggiatura della stagione della Salernitana è stato il caos, nella sua forma più pura.
Non è possibile spiegare ciò che è accaduto negli ultimi 12 mesi a Salerno con le sole armi forniteci dalla ragione.
Partendo dalla promozione raggiunta con una squadra costruita per galleggiare a metà classifica e ritrovatasi magicamente a chiudere il campionato al secondo posto, passando da un girone d’andata in Serie A giocato con una squadra senza né capa né coda che ha preso scoppole ovunque, sino ad arrivare alla cessione societaria giunta il 31 dicembre a pochi minuti da una annunciata e inevitabile esclusione dal campionato, è tutto privo di ogni logica.
L’arrivo di Danilo Iervolino prima, quello di Walter Sabatini poi e infine quello di Davide Nicola hanno ridato vita all’ambiente che in quei giorni mai avrebbe potuto immaginare un epilogo del genere.
Perché, è bene ricordarlo, in questi mesi i tifosi della Salernitana hanno dovuto subire di tutto sia dal punto di vista sportivo che dal punto di vista personale: che poi in una piazza come Salerno i due aspetti si sovrappongono fino a fondersi.
Dopo una ricorsa storica, impronosticabile e memorabile durata un mese e mezzo in cui i granata hanno portato a casa quasi il doppio dei punti conquistati negli otto mesi precedenti, ecco che arriva la partita contro l’Udinese.
Non una partita qualsiasi: la partita.
Aspettata e sognata da una vita da una intera città, da un intero popolo che solo un mese fa avrebbe venduto l’anima al diavolo per arrivare a giocarsi la salvezza all’ultima giornata.
E invece, ancora una volta, sul più bello la Salernitana si è sciolta come neve al sole.
È come se nel momento della verità la Salernitana – intesa come entità assoluta che prescinde dagli interpreti – si sentisse in dovere di non tradire la propria natura di squadra maledetta che è destinata a soffrire, a sperare e poi, inevitabilmente, a fallire.
Come se quanto accaduto fino a quel momento non fosse sufficiente, il finale di questo campionato è stato mitologico.
Ho chiesto a un po’ di amici che, come me, vivono le partite in maniera totalizzante cosa ricordino di quei momenti e tutte le testimonianze, compresa la mia, riconducono a un’unica versione: di quei minuti ci si ricorda poco o nulla tanto che si è insinuato in noi il dubbio che, per qualche motivo, quegli istanti non siano mai esistiti.
Si è trattato senza ombra di dubbio di un fenomeno dissociativo collettivo.
Ho come dei flash di ciò che ho vissuto in quei lunghissimi minuti.
Il goal di Pereyra che mette la pietra tombale su una partita che non si è mai giocata.
Le fiamme dantesche a pochi metri da noi che facevano da perfetta ambientazione al girone dantesco in cui eravamo improvvisamente piombati.
L’ultima mezz’ora nello spiazzale antistante la curva nel tentativo di racimolare qualche notizia relativa a ciò che nel frattempo stava accadendo a Venezia.
Non dimenticherò mai lo sguardo di chi ho incontrato in quei momenti in cui tutti erano lì solo fisicamente: la mente, il cuore e l’anima erano altrove.
C’era chi guardava nel vuoto, chi affondava la disperazione nelle birre, chi si è affidato al divino, chi alla scaramanzia, chi ha avvertito il bisogno di condividere quel momento paradossale con chi gli era vicino e chi, invece, ha preferito isolarsi.
Interminabili attimi di puro terrore.
Poi, d’improvviso, un boato, le lacrime, le urla liberatorie, gli abbracci: scene di isteria collettiva.
Siamo tornati alla realtà.
Più o meno.
Venezia-Cagliari termina 0-0.
La nostra partita termina 0-4: lo scopriremo solo il giorno dopo.
Ciò che è accaduto non può essere spiegato.
Sto cercando le parole da giorni ormai ma non le trovo. E forse è giusto che sia così.
Nella letteratura sportiva c’è sempre stato un evento che mi ha incuriosito e che, per qualche ragione, prima di domenica non ero riuscito a comprendere appieno.
Questo termine è Maracanazo, Maracanaço in portoghese-brasiliano, e si riferisce alla clamorosa sconfitta subita a Rio de Janeiro dal Brasile nella finale dei Campionati del Mondo di Calcio del 1950 per mano dell’Uruguay: il tutto davanti a più di 100.000 spettatori.
Quella partita lasciò sul campo almeno 10 morti di infarto e altre due vittime che si suicidarono gettandosi dalle tribune: un evento entrato di diritto nella storia dello sport dalla porta sbagliata ma che ancora oggi viene preso ad esempio per spiegare ai profani cosa può provocare nella psiche della gente una partita di calcio.
Dopo domenica, più o meno, ho capito cosa provarono quel giorno i tifosi brasiliani, sebbene l’epilogo per noi sia stato diverso.
Perché questa stagione della Salernitana è stato un continuo e perpetuo alternarsi di rabbia, delusioni, paura, incredulità, esaltazione, speranze, aspettative disattese, gioie controllate e gioie incontrollabili: come le nostre vite del resto.
L’annata della Salernitana meriterebbe un film, ma un film con una simile trama dovrebbe essere classificato nella categoria “fantascienza”.
Perché di normale, in tutto quello che è accaduto e nel modo in cui è accaduto, non c’è assolutamente nulla.
Dall’inizio alla fine.
Salerno è stato il teatro di una delle più grandi imprese sportive di sempre.
Ancora dobbiamo rendercene conto appieno e non dobbiamo dimenticarlo, ma dopo la sconfitta di Roma il 7% era pura utopia.
Poi la vittoria con la Sampdoria, quella con l’Udinese, quella con la Fiorentina, il pareggio di Bergamo, la vittoria con il Venezia, il goal di Altare, il rigore sbagliato da Perotti e Empoli e, infine, il Maracanazo scampato per un pelo contro l’Udinese.
Tutto era apparecchiato per l’ennesima delusione sportiva delle nostre vite ma evidentemente era giunto il momento che questo benedetto cerchio che percorriamo da una vita si chiudesse.
Da oggi si parte con una nuova avventura, con nuove ambizioni, nuove certezze e nuovi obiettivi, ma ciò che è certo è che nelle vite di tutti noi ci sarà un prima e un dopo questo campionato della Salernitana.