Alle prime luci dell’alba di oggi, i Carabinieri del Comando Provinciale di Salerno hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Potenza su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 7 persone (una in carcere, cinque agli arresti domiciliari ed una sottoposta all’obbligo di dimora), tutte ritenute responsabili di traffico organizzato di rifiuti e inquinamento ambientale. Come si legge nel comunicato della Procura, in carcere è finito Luigi Cardiello, già oggetto di numerose indagini in materia ambientale condotte dalle Procure di Napoli e Santa Maria Capua Vetere tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, che gli avevano valso il soprannome di “Re Mida” dei rifiuti (operazioni Re Mida e Cassiopea).
Le attività d’indagine coordinate dalla DDA e condotte dal Nucleo Investigativo di Salerno e dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Sala Consilina, diretta dal Capitano Paolo Cristinziano, costituiscono un autonomo filone dell’inchiesta denominata “Febbre dell’oro nero” relativa ad un vasto contrabbando di idrocarburi, nel corso delle cui captazioni è emerso in forma assolutamente chiara l’impegno di Raffaele Diana, già coimputato assieme a Cardiello nelle indagini Re Mida e Cassiopea, di agevolare l’ex compagno d’affari nella ricerca di nuovi siti di illecito stoccaggio e sversamento di rifiuti pericolosi, frutto di lavorazione industriale. Sebbene, con riguardo a questa specifica contestazione di traffico organizzato di rifiuti e inquinamento ambientale a carico del Diana (tratto oggi in arresto per altri gravi delitti connessi al traffico di idrocarburi) non siano stati poi acquisiti gravi indizi di colpevolezza, gli iniziali accordi tra lui e Cardiello hanno permesso di aprire un nuovo fronte di indagine nei confronti dell’ex Re Mida, ritenuto, sia per capacità che per rilievo criminale, certamente in grado di gestire una nuova organizzazione completamente autonoma nel traffico di rifiuti, con proiezioni verso territori sino ad ora inesplorati dalle organizzazioni criminali operanti nel settore. Da subito, infatti, è emersa l’esigenza di Cardiello di individuare nell’area del Vallo di Diano ed in quelle limitrofe della Basilicata e della Puglia nuovi terreni che non dessero adito a particolari sospetti e che fossero ben collegati con gli assi viari principali per facilitare le operazioni di trasporto.
Le conseguenti investigazioni, condotte con il supporto di moderne attività tecniche, ma soprattutto con i tradizionali servizi di osservazione occulta e di prossimità, hanno circoscritto comportamenti illeciti riconducibili alle lavorazioni di due società valdianesi, le quali si sono rivolte all’organizzazione criminosa facente capo a Cardiello per uniche finalità di profitto volte al considerevole risparmio dei costi aziendali rispetto allo smaltimento legale dei rifiuti prodotti. L’organizzazione è risultata particolarmente pericolosa per avere piena disponibilità di terreni di proprietà degli indagati, i cui fondi sono stati trasformati in discariche costituite per la maggior parte da liquami composti da acidi, dannosissimi per le ripercussioni sull’ambiente e con alterazioni incalcolabili e forse irreparabili per l’ecosistema. L’orizzonte investigativo è stato necessariamente contratto in ragione delle preminenti esigenze di salvaguardia del territorio (da qui il nome Shamar dato all’operazione — parola ebraica il cui significato può tradursi in “custodire gelosamente, tenere caro, ritenere prezioso“). L’indagine ha avuto il compito d’impedire che i continui sversamenti trasformassero il Vallo di Diano nella nuova “terra dei fuochi” a disposizione della criminalità organizzata campana.
Nell’ottobre 2019 sono stati intercettati e sequestrati 18.000 litri di solventi chimici pronti allo sversamento ad Atena Lucana. La pericolosità di tali rifiuti era ben nota agli indagati, uno dei quali, addirittura, se ne lamentava al telefono con i propri complici facendo riferimento al fatto che il liquido trasportato aveva corroso la vernice del proprio veicolo. Le successive operazioni di scavo, campionatura ed analisi svolte assieme all’ARPAC hanno permesso di certificare come il terreno fosse stato avvelenato da precedenti sversamenti. Situazione già ben evidente dalle fotografie aeree eseguite con droni, le quali palesavano nei terreni oggetto di sversamento chiazze colorate che hanno poi guidato con successo le operazioni dell’ARPAC, i cui esami hanno evidenziato la presenza di rifiuti speciali pericolosi rientranti nella categoria “HP 14 Ecotossico”. Quanto rilevato assume connotati di drammatica importanza nella misura in cui il territorio interessato è qualificato area naturale protetta, essendo parte della Riserva Naturale Foce Sele – Tanagro. In tale maniera si è quindi impedito che l’organizzazione allargasse il proprio raggio d’azione ad altri siti, in parte già individuati nel Comune di Tursi (Matera) e in parte oggetto di una pianificata espansione ancora a livello embrionale nella provincia di Foggia. Solidi riscontri al quadro probatorio sono arrivati dalle dichiarazioni fornite da uno dei complici non inserito nei destinatari di misura cautelare, altrettanti se ne prevedono dalle successive attività di scavo che la D.D.A. intende avviare nei prossimi giorni. L’operazione, che dimostra l’altissimo livello di attenzione che la Procura della Repubblica di Potenza e l’Arma dei Carabinieri riservano alla tutela dell’ambiente e della salute, ha portato al sequestro preventivo d’urgenza delle aziende coinvolte nel traffico.