La Cnn li ha definiti posti perfetti per rispettare la distanza sociale e per godere di bellezze dimenticate. E in effetti tra le poche conseguenze positive di una pandemia, la rinascita dei borghi italiani, soprattutto quelli meridionali, rappresenta un punto di svolta nel modo di viaggiare. Essendo uno dei paesi più colpiti dall’emergenza sanitaria, l’Italia è passata dall’essere un hotspot turistico a una no-go zone nel giro di pochi mesi. E l’industria del turismo ha abbracciato i territori: poiché la distanza sociale diventa la norma, i piccoli luoghi senza folle sono diventati più allettanti. Proprio per questo motivo, negli ultimi mesi si è assistito a un forte incremento di prenotazioni nei borghi italiani che durante l’estate 2020 hanno potuto contare numerose richieste, soprattutto da parte di famiglie italiane.
In un’epoca sospesa come quella che stiamo vivendo non sarà facile recuperare una dimensione collettiva se non nelle riaperture, nell’aggregazione, nella capacità di fare rete, soprattutto in realtà come quelle meridionali. Le macerie immateriali ed esistenziali del virus tendono ad acuire la necessità di ricucire con le nostre abitudini ma hanno alimentato quella rottura con gli schemi del passato che genererà nuove trasformazioni nel nostro modo di vivere.
Del tragico e surreale anno vissuto su di un’altalena emotiva condizionata dall’insofferenza del metro quadro, ne ha risentito fortemente la filiera turistico-culturale, ma fino a un certo punto: nelle riaperture, con la cautela ereditata dall’epidemia, siamo stati in grado di riscoprire le bellezze della prossimità.
Le relazioni interpersonali e gli stili di vita sono destinati a mutare, almeno fino a quando non saremo in presenza del rischio zero. Ma il virus ha già piegato il mito della mobilità illimitata. Ridisegnando drasticamente il settore: le grandi mete internazionali, quelli da copertina o dal sapore esotico, soccombono a beneficio di un turismo interno. Il turismo di massa, così come concepito negli ultimi decenni, ha ceduto il passo al ritorno sui territori. Contribuendo al rilancio delle economie locali.
Risorge il richiamo delle radici, il sentimento di appartenenza ai luoghi. Soprattutto ai borghi, alle aree interne. E’ un flusso di ritorno, che si riconosce nella residenzialità affettiva. Un turismo affascinato dalla “restanza”, che fa dell’identità dei territori e di chi li abita un’idea mobile, dinamica, aperta. In molti casi riguarda borghi e paesi in via di spopolamento: ci si innamora dei luoghi e delle comunità locali. E si resta. O ci si torna.
Nella notte della globalizzazione è riemersa la necessità di indagare la nostra identità. L’opportunità di ripartire dalle origini, di fare esperienza pratica di incontro all’aperto, lontano dalle strettoie delle città, allargando l’eco delle musiche. Sazi di quel circolo mediatico e virtuale in cui siamo ancora confinati, ripartiremo dalle radici e dalle comunità locali come premessa di rigenerazione sociale ed esistenziale. Favorendo le espressioni culturali del territorio, le sue energie vitali: percorsi paesaggistici ed enogastronomici, itinerari tracciati in un’ottica di turismo sostenibile. Visite a musei e a siti archeologici. E poi ancora biketourism, cineturismo, il turismo rurale ed enogastronomico.
Una dimensione slow per celebrare la ripresa dei rituali, gravida di motivi ancestrali. Per riconoscerci e riconoscere il volto autentico della nostra umanità. Esposti a intime trame o forse soltanto a un principio di riscoperta di un mondo nascosto che ci appartiene, scavalcato dalle frette del villaggio globale.