Potremmo far finta di nulla ed ostinarci a parlare dell’evento meramente calcistico della Salernitana, che a Cittadella becca sulla guancia paonazza l’ennesimo manrovescio della sua nuova, disgraziata stagione all’insegna della sofferenza. Potremmo fingerci esageratamente rammaricati per l’indecorosa svirgolata di Giannetti a tu per tu con Paleari, prima di sorvolare sulla opulenta soddisfazione di Lotito al termine del sonoro successo della Lazio contro la Juventus. Potremmo fingerci belli addormentati nel bosco, archiviare con cristiana rassegnazione la valanga di disgusto che da cinque anni ormai si abbatte sull’umore del sempre più sfibrato tifoso granata e pensare al prossimo match casalingo contro il Crotone. Potremmo distogliere l’attenzione dall’espressione assente e nauseata di mister Ventura accasciato sulla panchina del Tombolato, dimenticare il rammarico smargiasso del collega Venturato (“Avremmo potuto vincere 7-1”) e lasciare il passo ad una stoltezza pallonara che invita a non demordere e a riporre nell’ormai imminente mercato di riparazione le adolescenziali utopie di una risalita in classifica. Potremmo disquisire a lungo sull’ormai dispersa dignità di tanti personaggi, calcistici e folkloristici extra campo, che continuano a banchettare al capezzale dell’ormai spolpata carcassa del cavalluccio senza avvertire un briciolo di vergogna. Potremmo fronteggiare l’ormai insostenibile frustrazione di tifosi perennemente delusi ed amareggiati rifugiandoci nei ricordi, rispolverando il festoso e colorato tsunami passionale che ha inondato le strade cittadine il 19 giugno. Potremmo fare tutto questo ed altro ancora, saltellare astrattamente tra speranze, sogni, desideri, rabbie a stento represse, propositi rivendicativi che non abbandonano mai il chiacchiericcio da bar per divenire finalmente concreta azione politica.
”Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano….” Dal tardo pomeriggio di ieri, invece, il refrain di un famoso brano di Antonello Venditi sta attraversando le menti ed i cuori esausti e tormentati della tifoseria granata, la quale sa di essere ormai giunta ad un dolorosissimo bivio: allontanarsi, momentaneamente e a fin di bene, dalla sua amata squadra del cuore, coltivando la convinta speranza di ritrovarla, in un futuro non molto lontano, nuovamente vivida e trascinante come solo lei sa esserlo, oppure intestardirsi a nutrire un amore che, a causa dell’infelice intromissione di terzi, ha trasformato l’indissolubile feeling in una sorta di disperato accanimento terapeutico. Non è mai semplice separarsi da ciò che si ama, ma a volte è assolutamente necessario. Perché il distacco intriso di tormento interiore aiuta a ritrovare la lucidità smarrita, mentre la lontananza dall’oggetto dei propri desideri, seppur semplicemente fisica, riesce a spazzare via le corposi dosi di sofferenza somministrate da elementi estranei al rapporto. Il tifoso granata ama e continuerà ad amare la sua creatura calcistica, ma adesso deve imporre ai propri sentimenti una non più rinviabile sosta ai box. Prima che l’intollerabile inettitudine gestionale palesata dal duo Lotito-Mezzaroma e la scellerata conduzione tecnica esibita dal ds Fabiani mettano a repentaglio anche la possibilità futura di ricreare l’antica affinità elettiva che unisce da sempre il glorioso Ippocampo e la torcida salernitana. Bisogna assolutamente interrompere il circolo vizioso di umiliazione, frustrazione e rabbia impotente entro il quale i proprietari capitolini hanno deciso di fissare il sofferto stato vegetativo dell’amato cavalluccio. Il veleno assunto a piccole dosi non ammazza, ma è altrettanto vero che la sua azione venefica non può essere tollerata a lungo. Cinque anni di spettacoli calcistici indecenti, di arroganze padronali, di volgari presunzioni travestite da inesistenti competenze, di provvedimenti dispotici propinati alla libera stampa capace di denunciare approssimazione, calcolo aziendale e disinteresse, possono e devono bastare. E’ tempo di restituire dignità e solarità a quel colore granata che, alla stregua di un elisir d’amore, sapeva trascinare un intero popolo, anche e soprattutto nei momenti più bui. E’ tempo di far fronte unico e lavorare, con caparbia autodisciplina collettiva, ad un progetto molto più importante di un calciatore da acquistare o di tre punti da aggiungere alla classifica: liberare la Salernitana dalle grinfie dell’arida freddezza di una società ormai indesiderata. Smettere di alimentare, in termini economici e di attenzione mediatica, una pianificazione calcistica che relega all’ultimo posto le legittime aspirazioni della tifoseria, è l’inevitabile passo che deve compiere l’intera città affezionata alle sorti del club granata. Quando il deserto dell’Arechi sarà ormai una consuetudine difficile da scalfire, Lotito potrà essere orgoglioso del suo risultato più gratificante: aver annichilito una delle passioni calcistiche più entusiasmanti dell’intero pianeta. E’ tempo di agire. Prima che il silenzio e l’ignavia facciano sprofondare nell’oblio la Salernitana e la sua impareggiabile tifoseria.