Cosa c’è di peggio della psicosi, dei moti di rabbia razziale nei confronti di un’altra popolazione o della propria stessa nazione – nord contro sud, ancora una volta – e dello sciacallaggio mediatico ed economico? La disinformazione e le fake news, di certo.
Le bufale online molto spesso vivono di vita propria. “Lanciate” come vere e proprie bombe nel magma dei social network e lasciate far danni in giro per il web – rimbalzando tra Facebook, Instagram e WhatsApp – per poi sapientemente spostarsi oltre i confini dell’offline, generando odio, paura e ansie, talvolta, completamente immotivate, esse stesse rappresentano l’essenza vera della psicosi legata al coronavirus.
Sì, perché – in particolare per giornalisti e debunker – i social, nelle ultime settimane, si sono trasformati in veri e propri luoghi di guerra dove, se l’attenzione cala anche solo per un secondo, si rischia di cadere nel baratro di quella “mala-informazione” che risulta tanto appetibile ad una parte dell’informazione italiana e salernitana e ad una gran quantità di utenti che – seppur senza particolare cattiveria – abboccano alle bufale e le diffondono.
Ci sono notizie amare da dare, persino quando il tuo sito raggiunge migliaia di visualizzazioni e le copie del tuo giornale vanno a ruba la mattina dopo. Sì, perché fare informazione non significa sperare nel peggio per poter accaparrarsi la giornata, però significa essere lì quando il peggio può accadere. E raccontarlo. Nel modo più oggettivo e reale possibile.
L’accozzaglia di notizie false e scritte male che, in queste ore, sta ingolfando il web sta avendo un effetto nocivo non solo sulle persone, ma – soprattutto – sulle loro capacità cognitive. La paura fa perdere lucidità – questo si sa! – e scatena la parte peggiore degli individui, purtroppo.
Le fake news si basano su tre principi fondamentali: omofilia, fiducia e reputazione. E questi tre concetti, insieme, possono essere declinati per qualsiasi tematica o argomentazione, medica o politica che sia. L’omofilia è la tendenza ad imbattersi – sui social – in persone simili a noi e in temi che riteniamo più interessanti. Nonostante, si pensi che quello dei social sia un mondo aperto, in realtà si tratta di un ambiente chiuso in cui scegliamo noi con chi essere in contatto e quindi verso chi nutrire sentimenti di fiducia. La reputazione delle persone che abbiamo attorno è accresciuta e resa positiva attraverso le nostre azioni di approvazione (condivisioni e like, se vogliamo parlare la lingua social). Tutto questo crea una cortina oltre la quale è difficile guardare.
Per dirla in parole povere: se mi circondo – perché io stesso credo sia così – di persone che tendenzialmente credono in un complotto legato al coronavirus, difficilmente m’imbatterò sui miei social in opinioni differenti da queste. Le opinioni degli altri andranno ad accrescere le mie, perché simili e combacianti con esse.
Ed è semplice quindi trasformare un caso di quarantena in un caso confermato di coronavirus, un tampone in una malattia, un caso di ricovero in una morte certa e motivare qualsiasi altra cosa accada attraverso il virus-mostro che ci sta destabilizzando da settimane.
Questa mattina, alcuni giornali online lanciano la notizia che un uomo, di cui sono note iniziali ed età, proveniente da Milano ed arrivato a Siano, è risultato positivo al coronavirus. La notizia è del tutto falsa. Addirittura, il sindaco di Siano ha dovuto smentire ufficialmente la news.
Anche a Nocera Inferiore è accaduta la stessa cosa. La notizia di un caso positivo al test di coronavirus ha iniziato a circolare in rete scatenando non poco allarmismo tra la popolazione. Anche in questo caso, si trattava di una notizia completamente falsa.
Su WhatsApp i vari audio hanno destabilizzato le persone che, impaurite, hanno iniziato ad inoltrare il contenuto in uno spamming psicotico senza precedenti.
La fake dei falsi operatori della Croce Rossa che dichiarano di andare in giro ad offrire tamponi gratis nelle abitazioni è stata confutata.
E così, istituzioni, medici, giornalisti e addetti ai lavori oltre ad occuparsi dell’emergenza – che, chiaramente, pure esiste e va trattata nel migliore dei modi – sono costretti a passare del tempo prezioso a selezionare, arginare e “smascherare” notizie per non rendere la situazione ancor più pesante di quella che è.
Ecco perché, così come nella vita offline anche in quella online, è necessario sviluppare una coscienza critica digitale che permetta agli utenti – soprattutto i cosiddetti “immigrati digitali”, che tra i social non ci sono nati ma hanno imparato nel tempo ad utilizzarli – di andare oltre quel muro di opinioni simili che possono essere, molto spesso, smontate in favore di notizie più affidabili.
Rimane, inoltre, una domanda, strettamente legata al mondo dell’informazione: quanto è giusto dare le notizie dei presunti casi, piuttosto che attendere la certezza dell’informazione?
Le notizie acchiappa click sono molto facili da impacchettare, ma in una situazione di psicosi come quella che stiamo vivendo in questi giorni, chiediamoci quanto influiscano ed alimentino la paura delle persone.