Provateci voi a scrivere di Maradona senza sentirvi piccoli al suo cospetto.
Sarebbe in fondo fin troppo retorico provare a descrivere il calciatore, specie per chi non ha avuto la fortuna di ammirarlo dal vivo, peggio ancora, specie adesso, provare a disquisire sulle qualità morali ed ergersi a giudice di una vita vissuta in bilico, come un equilibrista. Proprio come faceva lui con l’oggetto che ha amato di più, il pallone. Ballerino sulla sua testa, così fermo eppure così vicino alla caduta.
Diego non è più, ma per moltissimi, è ancora e lo sarà per sempre.
Cosa, lascio a ognuno il piacere di deciderlo da sé.
E nemmeno entrerò nello squallido, oggi più che mai, dibattito se sia stato o meno il più grande calciatore della storia, nell’eterno confronto con Pelé prima e con Messi poi.
Allora elencherò quello che Diego è stato, è, e sarà per sempre, almeno nel mio personalissimo vissuto.
Diego è la videocassetta consumata nel videoregistratore a furia di provare a comprenderne il genio, nel mesto tentativo di riprodurre le sue giocate nel cortile di casa con gli amici al pomeriggio. I video su YouTube per molti di noi sarebbero arrivati molti anni dopo.
Diego è “La magia di Stoccarda”, vhs che ogni bancarella degna di tale nome sfoggiava e vendeva a ciclo continuo, fino almeno all’arrivo del dvd.
Diego è Buitoni, Mars, Puma, marchi che solo a sentirli, ti immagini lui lì, riccioluto, tarchiatello, ma pronto a sfidare il mondo, sempre e solo a modo suo. Piaccia o meno.
Diego è il calcio di punizione più morbido della storia del calcio, è la rivincita sulla sopraffazione, i “poveri” che battono i potenti.
Diego è una condanna. Per i tanti connazionali che all’alba del nuovo millennio, hanno dovuto convivere gioco forza con l’etichetta del nuovo Maradona, paragone impietoso per tutte le parti in causa, specie per quel peso se l’è dovuto portare sulle spalle, per informazione chiedere a Saviola, D’Alessandro, Aimar.
Diego è quel baricentro basso basculante sulle note di Life is Live, con un maledetto pallone che sembra proprio non voler cader mai. Il riscaldamento più bello della storia del calcio. E’ lo show prima ancora che inizi lo spettacolo.
Diego è l’edicola votiva a Spaccanapoli, è quel capello venerato e contemplato quasi come il sangue di San Gennaro. Un altarino sacro, una reliquia, luogo di pellegrinaggio. Un Masaniello con la dieci sulla schiena. E’ il senso di quel numero.
Diego è un termine di paragone, è l’irraggiungibile, è nei bambini che ancora oggi dicono “E’ arrivato Maradona…”
Diego è Napoli, è l’Argentina, è il calcio.
Ieri, oggi e per sempre.