Un esodo di massa che, giorno dopo giorno, pregiudica il futuro di intere comunità. Indici di spopolamento che significano l’abbandono dei presidi minimi e indispensabili per la cura e la gestione del territorio. Una destrutturazione demografica in atto da tempo, e che ha subito un’accelerata negli ultimi dieci anni talvolta legata alla dispersione del patrimonio culturale e identitario secolare. Gli ultimi dati sullo spopolamento delle aree interne del Mezzogiorno forniscono un quadro fosco, dovuto a una tendenza che sembra inarrestabile.
La ripresa dei flussi migratori rappresenta la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese. Sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord e all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. Secondo quanto rivelato dall’ultimo rapporto Svimez, l’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Tale dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti.
I dati presentati dall’indagine condotta dallo Spi Cgil sullo spopolamento in Campania rivelano che ogni giorno 90 cittadini lasciano questa regione per lavoro, studio o salute. Il segretario generale Cgil Campania, Nicola Ricci, intervenendo all’iniziativa “Aree interne e sviluppo: bisogni sociali e sistema di welfare”, promossa da Spi Cgil Campania, Spi Cgil Salerno e Cgil Salerno sul tema delle aree interne, all’interno della quale la categoria dei pensionati ha presentato uno studio sullo spopolamento delle principali macroaree interne della Campania, ha indicato come soluzione l’intervento di una programmazione europea per contrastare il fenomeno: “Per fermare questa migrazione c’è bisogno di ridare ossigeno alle province campane e spezzare il napolicentrismo. In questo senso la Regione ha presentato un progetto dedicato che dovrà essere finanziato con la programmazione 2021/2027 che rappresentano gli unici fondi ordinari in grado di consentire lo sviluppo di queste aree migliorando la qualità dei servizi essenziali come sanità, trasporto e scuola, che rappresentano i principali settori in cui si verifica l’emigrazione in Campania”.
L’indagine
Cilento. Per avere una percezione chiara dell’andamento demografico del Cilento l’indagine ha preso la suddivisione tradizionale della ripartizione dei comuni in cinque differenti aree: Alto Cilento, Cilento Centrale, Basso Clento, Valle del Calore e Alburni, Vallo di Diano, prendendo come riferimento l’inizio di questo nuovo millennio e confrontando i dati con quelli attuali. Si evince che dal 2001 al 2019 la popolazione residente nel Cilento ha fatto riscontrare un leggero incremento passando da 128.364 unità a 129.626. Tale tendenza però non risulta essere un dato omogeneo in quanto è riscontrabile esclusivamente tra la popolazione residente nell’Alto Cilento e nel Cilento Centrale; a fare da traino sono soprattutto le città costiere, significativo è il dato di Agropoli che fa registrare un incremento di 1.881 abitanti e Castellabate 1.489. Seguono Casal Velino (+738), Castelnuovo Cilento (+641) e Ascea (+502). Ma nelle zone interne di queste due aree si riscontra la presenza di paesi con forti contrazioni demografiche. E’ il caso di Serramezzana che nell’intervallo di tempo considerato perde una quota consistente della sua popolazione passando da 403 a 300 abitanti, risultando uno dei borghi a più alto rischio di estinzione vista anche la presenza di una popolazione anziana che ha raggiunto livelli di guardia, gli ultra sessantacinquenni risultano essere un terzo della popolazione, e ci sono soltanto 67 unità sotto i trent’anni.
Non va trascurato il dato relativo alla presenza di stranieri: se per l’Alto Cilento l’incremento di popolazione di 3.456 abitanti è da attribuire quasi esclusivamente alla presenza di stranieri (3.037), per il Cilento Centrale l’incremento degli stranieri (1.700 unità) è quasi il doppio dell’incremento dell’area (+819 unità). Il dato drammatico sullo spopolamento si riscontra invece marcatamente tra la popolazione residente nel Basso Cilento. Qui, nel periodo preso in considerazione, la popolazione si riduce di 3.013 unità, e avrebbe avuto dimensioni anche più consistenti se non ci fosse stato un significativo insediamento di migranti (1.950 unità). Nell’area del Basso Cilento quasi tutti i comuni fanno registrare contrazioni anagrafiche, fanno eccezione i paesi costieri di Camerota, Centola e Vibonati. Rofrano è invece uno dei paesi a più alto rischio spopolamento, perde 696 unità, ma non stanno meglio Casaletto Spartano (-318 unità), Alfano (-308 unità), Torre Orsaia (-324 unità). Anche in questi paesi la consistente presenza di anziani sul totale della popolazione lascia prevedere una accelerazione dello spopolamento.
Alta Irpinia. Sono 25 i Comuni appartenenti a questa area geografica che si caratterizza per la quota più rilevante di decremento demografico delle aree prese in considerazione; negli anni che vanno dal 2001 al 2019 la popolazione residente si riduce di 7.741 unità. Tutti i comuni, ad eccezione di Lioni, perdono quote consistente di popolazione; significativo il caso di Calitri che perde 1.337 unità. Preoccupano le dimensioni estremamente ridotte dei paesi di Monteverde, Senerchia e Rocca San Felice che continuano a perdere quote significative di residenti. Dato trascurabile è quello relativo alla presenza di migranti che con il 3,2% risulta essere il più basso delle aree prese in considerazione in questa ricerca.