Molti russi e molti comunisti lo considerano un traditore, perché con le sue politiche avrebbe portato l’Unione Sovietica alla dissoluzione, facendo finire un sogno. A me viene più naturale pensare che l’URSS stesse agonizzando almeno dalla morte di Stalin e che la perestrojka fosse un estremo (e disperato) tentativo di rianimare un cadavere (ho studiato l’argomento qualche mese per la mia tesi, ma non ho la statura storica o politica per giudicare una delle più grandi transizioni della storia). Tuttavia il Gorbaciov che siede di fronte al regista tedesco Herzog non appare né come un eroe né come un traditore, sembra piuttosto un uomo vecchio, provato dalle sue condizioni fisiche e dalle sofferenze molteplici che gli sono piovute addosso. In particolare, due avvenimenti l’hanno reso ciò che è adesso: il già citato crollo dell’Unione Sovietica, che lui ha vissuto come una grande tragedia personale e la morte della sua amatissima moglie Raissa. “All’inizio camminavamo fianco a fianco, poi camminavamo mano nella mano, due anni dopo eravamo sposati”, racconta. Lei era la sua più intima consigliera e confidente, un amore così è difficile da trovare.
“Lei le manca?”, chiede Herzog.
Breve istante di silenzio. “Quando è morta mi è stata tolta la vita”, risponde Gorbaciov. Altro silenzio, più profondo. Questi silenzi caratterizzano tutta l’intervista. A differenza di molti politici odierni, Gorbaciov sembra pesare le parole a una a una, di conseguenza anche i suoi silenzi sono eloquenti. Da “Herzog incontra Gorbaciov” emerge, dunque, il ritratto di un grande uomo politico, molto molto solo. Eppure piaceva alla gente, sapeva essere empatico e trascinante, i contadini (che lui visitava con mezzi di fortuna, all’inizio della carriera politica con mezzi di fortuna) lo adoravano. A scuola era uno studente modello; è diventato grande nonostante le umilissime origini, in un villaggio nel bel mezzo del nulla. O forse è diventato grande proprio grazie alle sue origini. I ministri esteri sapevano, lo percepivano a pelle, che lui era diverso, era di un’altra pasta rispetto ai leader sovietici precedenti, così decrepiti, così concentrati solo sugli omaggi che venivano loro offerti.
Nonostante la natura tragica del personaggio, sconfitto dal cambiamento che aveva cercato di innescare, non mancano gli aspetti ironici nel documentario. Come il giorno in cui il premier ungherese e il ministro degli esteri austriaco tagliarono il filo spinato al confine dell’Ungheria, poco prima della caduta del Muro, ma la prima notizia dei telegiornali austriaci era su come tenere le lumache lontane dai campi. Oppure quando Herzog si presenta a Gorbaciov, dicendo di essere un tedesco. “Probabilmente il primo tedesco che ha visto avrà cercato di ucciderla (durante la guerra)”, aggiunge. Gorbaciov risponde che il primo tedesco che ha visto era un simpatico quasi vicino di casa, con un magnifico negozio di biscotti di pan di zenzero. “Uno che fa dei biscotti così buoni non può essere cattivo”, commenta. Quasi contemporaneamente assaggia uno dei cioccolatini che la troupe gli ha portato, rigorosamente senza zucchero perché, fra le altre cose, è diabetico.
Per non parlare poi della grottesca serie di funerali seguiti alla morte di Breznev: nel documentario muoiono tre leader sovietici nel giro di cinque minuti, tutte le esequie sono in pompa magna, con una musica lugubre e pomposa. Si finisce per sorridere della morte.
A Padova “Herzog incontra Gorbaciov” veniva proiettato per pochissimi giorni in pochissime sale e il biglietto costava due euro più del solito. Ma li ho pagati volentieri: non si trattava di vedere un film, ma di assistere a un evento storico e, da laureata in Storia, non potevo esimermi. A volte mi dimentico che Gorbaciov è ancora vivo e lotta per tenere vivo il socialismo.