Sequestro di persona, questo il capo d’accusa che pende su Matteo Salvini, il capitano si lascia impigliare dalla sua stessa rete e il Decreto Sicurezza si ritorce contro. Serve davvero a poco l’hashtag #iostoconsalvini, il plotone di pinguini “mangiasardine” ed i milioni di italiani pronti a difendere il capitano a spada tratta fra like, “buongiornissimi”, merendine e gattini condivisi.
Il Senato, con 152 voti a favore, autorizza la Procura della Repubblica di Catania a procedere contro l’ex ministro dell’interno per aver bloccato lo sbarco dei 131 migranti soccorsi dalla nave Gregoretti lo scorso luglio. Il carroccio affonda e – meraviglia delle meraviglie – non può contare sul porto sicuro della piattaforma Rousseau che – al contrario di quanto accaduto per il caso Diciotti – non viene interpellata e resta mestamente all’addiaccio in attesa di farsi promotrice di altri rilevantissimi quesiti di matrice nazionale da porre alla sottile élite dei propri accoliti (Luigi Di Maio deve tagliarsi i capelli o farli crescere un po’? “Si”, “No”, “Giusto punta punta”). La votazione odierna assume perciò le sembianze di una spilla da balia che sgonfia la boria del leader leghista e getta nel malcelato sconforto la torbida platea dei sostenitori. Sono bastati, per autorizzare a procedere, i “Si” di una maggioranza ora formata da M5S, PD, LEU e Italia Viva. Quella stessa maggioranza che – nell’arco di un anno – ha visto alterati i suoi equilibri e mutate le sue sfumature, da gialloverdi a giallorosse.
Eppure, l’intrepido capitano, ci aveva provato con insistenza – indossate le striminzite vesti del perseguitato politico, scomodando perfino il povero Pellico – a dirottare lo sdegno dell’opinione pubblica. E via, in attesa del giorno dei giorni, un tourbillon di ordini e contrordini, toni patriottici e rosari baciati a mezza bocca confidando nella fedele sponda degli alleati di FDI e FI. D’un tratto – in un ultimo rigurgito di tracotanza – il novello “non expedit” intimato ai propri compagni di partito, l’invito a disertare l’aula per giocarsi la carta della commiserazione con tanto di “buon lavoro” ai magistrati che suona come un “non fatemi troppo male”. Tutto conduce all’annunciata disfatta odierna, il Senato approva e Salvini ora rischia fino a 15 anni di carcere. Nulla – o poco meno – conta l’ultimo grottesco tentativo di redenzione, l’ultima ancora gettata con disperazione verso i fondali dell’indulgenza. Il leader leghista si appella alla pietà dell’aula e, da intrepido padre – o meglio genitore 1 – italiano e cristiano, spiattella a tutti il messaggio di incoraggiamento ricevuto dal figlio.
Bella mossa capitano. Un esempio di vero, italico, coraggio.