C’è un uomo che si ritrova solo su una panchina a Vietri, il tramonto alle spalle, un’esperienza che volge alla conclusione. Pensare che solo qualche mese fa quando l’estate era agli inizi, ci si ritrovasse a festeggiarlo in costiera per quell’impresa insperata che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Castori lo sa e sa qual è la condizione dell’allenatore: precaria, appesa ad un filo, quello dei risultati.
C’è una fase di un comunicato della società fin troppo duro per focalizzare su di lui tutte le colpe, tutte le mancanze: “Per la parte di responsabilità che questo mancato o parziale investimento delle risorse può ricondursi alla direzione tecnica questa direzione dovrà purtroppo, pur nel rispetto di ogni umano apprezzamento, rispondere.”
Oltre a riscontrare nella direzione tecnica un atteggiamento remissivo come indicato nella prima parte del comunicato.
La semplificazione della critica, alla ricerca di un solo capro espiatorio: il mister Castori. L’artefice di una promozione acquisita con una squadra assemblata in parte da giocatori che provenissero dalla “casa madre Lazio”, ossatura poi dispersa alla fine dei prestiti: squadra che di certo non si ipotizzava, potesse gareggiare con le più accreditate Monza e Lecce per la promozione in massima serie. Eppure, la squadra di Castori è riuscita nell’inimmaginabile nonostante una squadra che non fosse adatta a quell’obiettivo agognato ormai da 23 anni. Il cuore e l’orgoglio di quei ragazzi è andato davvero oltre l’ostacolo: non un semplice motto enunciato, bensì una realtà compiuta.
Con l’arrivo in massima serie sono crollate quelle sicurezze fragili come castelli di sabbia: una squadra che non avesse una spina dorsale composta da giocatori di proprietà (basti pensare che uno dei protagonisti Tutino sia arrivato in prestito dal Napoli); la mancanza totale di una progettualità che rivolgesse il proprio sguardo alla crescita del settore giovanile che in 10 anni del duo Lotito-Mezzaroma non è mai decollato; questi enormi handicap si aggiungono ad una campagna acquisti deficitaria in settori nevralgici come difesa e centrocampo: il budget limitato non può essere una scusa. Dopo la gara di Torino, l’atteggiamento è stato quello dell’impegno che però non ha colmato le lacune mostrate di gara in gara.
Il capro espiatorio, dunque, non regge. La scelta del successore è quella di Colantuono strano scherzo del destino il passaggio di consegne con Castori: la sconfitta proprio contro il Carpi di Castori nel dicembre 2018, costò la panchina della Salernitana a Colantuono.
Scelta quella del mister che fortifica la posizione del D.S. Fabiani, responsabile della costruzione di questa squadra: in una critica a 360 gradi sul momento che i granata stiano vivendo, anche la sua figura sarebbe dovuta essere messa sotto discussione. Sul segno di questa continuità ci si avvicina alla sfida di sabato contro l’Empoli: Colantuono dovrà fare fronte oltre che al difficile momento che i granata vivano con una classifica che piange, anche alle innumerevoli defezioni che rendono l’infermiera sempre affolata.
L’immagine di Castori su quella panchina a Vietri ha fatto il giro dei social: il lato laconico emerge con forza. L’esonero è un atto lecito; la mancanza di stile e gratitudine emersa è un grande scivolone da parte di chi ora detiene seppur provvisoriamente le redini della società.
Un Grand Hotel quello della Salernitana: c’è chi viene e chi va per ciò che concerne i protagonisti del rettangolo di gioco; mentre per ciò che riguarda il futuro societario tutto rimane nel silenzio assoluto: questo trust insieme alla sua dirigenza dopo una proroga e l’altra è ancora lontana dal fare il check out e lasciare il posto a chi verrà…