Alcuni, tra i quali il sottoscritto, perdono un pezzo della propria infanzia, altri della propria giovinezza. Giampiero Galeazzi ha accompagnato domeniche, serate, eventi sportivi di tante generazioni, spesso riuscendo a richiamare un intero Paese davanti alla tv.
Ognuno, in cuor proprio, custodirà il suo “Momento Galeazzi” preferito, e l’elenco sarebbe davvero lungo. Impossibile non menzionare il canottaggio, disciplina che prima di raccontare in maniera magistrale, ha praticato con successo, tanto da trionfare nei campionati italiani assoluti del ’68. Forse proprio da questa sua esperienza pregressa derivava tanta partecipazione, tanta intensità, un’energia e un ritmo che sgorgavano via dalla sua gola, che, insieme alla sua imponenza fisica, lo rendevano semplicemente unico. Non ci saranno altri Giampiero Galeazzi.
Se con la telecronaca in occasioni delle olimpiadi di Seoul ’88, lo stupendo oro dei fratelli Giuseppe e Carmine Abbagnale, guidati da “Peppiniello” Di Capua, ha toccato forse la vetta più alta, ci sono tante, troppe, immagini che passano davanti agli occhi, mentre in sottofondo sembra quasi di poter ascoltare l’eco del suo inconfondibile vocione, segnato da romanissima cadenza (tifosissimo della Lazio raccontato con imparzialità e passione la Roma Campione d’Italia e protagonista di quegli anni).
Il tennis, ma anche, soprattutto, il calcio. La Domenica Sportiva, 90° Minuto, per anni condotto direttamente dagli studi di Domenica In, quando Mara Venier lo chiamava in causa con quel soprannome, “Bisteccone“, ideato dal giornalista Gilberto Evangelissti e diventato identificativo per un intero popolo.
E poi il lavoro di campo. E che lavoro, ma soprattutto che tempi. Le interviste a bordocampo, la possibilità di raccontare in presa diretta le emozioni dei più grandi campioni di fine anni ’80, senza passare per addetti stampa, dirigenti, diritti tv e silenzi stampa spesso inutili. E ancora Galeazzi negli spogliatoi, Galeazzi che abbraccia i protagonisti da intervistare con stazza da bodyguard, Galeazzi scudetto dopo scudetto, stadio dopo stadio, vittima degli immancabili gavettoni, uno dei quali capace di strappare uno dei sorrisi più puri mai mostrati da Diego Armando Maradona, che mai gli ha negato anche solo una battuta, celebre la doppia intervista con Karl-Heinz Rummenigge mentre gli altri calciatori di Napoli e Inter si riscaldano con una perduta naturalezza nel sottopassaggio dello Stadio San Paolo.
Dal San Paolo, oggi intitolato proprio al Dios argentino, a San Siro, Galeazzi è arrivato ovunque, anche a Salerno. La “Real Salernitana”, espressione per definire la formazione del Profeta di Rimini, difficilmente sarà dimenticata dai tifosi granata, dopo quel 29 novembre del 1998. Rossilandia che atterra al Meazza, mette letteralmente in crisi una squadra che solo quattro giorni prima è stata capace di spazzare i Galacticos grazie ai colpi di genio di un Roberto Baggio mai compreso fino in fondo in nerazzurro.
Accelerazioni improvvise, scambi veloci, un ritmo che manderà la squadra di Gigi Simoni in sofferenza per quasi tutti i 90’, una marea di palle gol divorate, e una rimonta profondamente ingiusta ai danni dei granata, vestiti di bianco e accompagnati in Lombardia da una scenografia dei tifosi campani ispirata a Braveheart. “Chi combatte può morire! Chi fugge resta vivo… Almeno per un po’”, roba da cuori impavidi.
Impavido fu Galeazzi, che non esitò a paragonare quella Salernitana alle merengues, apparse, almeno per un giorno, ben poca cosa rispetto a Di Michele e compagni. Impavido fu anche Massimo Moratti, che si prese un giorno, senza successo, per provare a sbollire la rabbia di un successo quasi imbarazzante, per quanto immeritato, silurando quel gran signore di Gigi Simoni, che non digerirà mai l’esonero.
Colpa di una Salernitana “Real”, di un signor Rossi qualsiasi. Sarà però Antonio, e non Delio, in coppia con Beniamino Bonomi, a rendere speciale l’edizione di Sidney, la prima del nuovo millennio, con un oro memorabile nel K2. E quell'”Andiamo a vincere ancora” che riecheggia oggi più forte nelle nostre orecchie.