Tutto è iniziato in un torrido pomeriggio estivo quando, apparendo in dissolvenza da una spessa coltre di fumo con le parvenze di un personaggio mitologico, ha calcato per la prima volta il prato dell’Arechi.
Sino a quel momento nessuno pensava che fosse realmente possibile che Franck Ribéry potesse indossare la maglia della Salernitana.
Eppure, lì è stato scritto l’ennesimo capitolo di due anni del tutto folli per il popolo granata.
Una vera e propria apparizione per un città che non aveva ancora metabolizzato appieno la gioia inaspettata della promozione in Serie A giunta a porte chiuse e che da lì a poco avrebbe dovuto fare i conti con il punto più basso della propria storia recente.
Soffermandoci sull’aspetto meramente calcistico, in quel girone d’andata drammatico Ribéry è stato l’unico che ogni tanto è riuscito ad accendere la lampadina: del tutto fuori contesto per una squadra che per come era stata allestita avrebbe fatto fatica a salvarsi in Serie B.
Eppure, nonostante l’età avanzata e una condizione fisica precaria, “Frero” è stato determinante nelle uniche due fondamentali vittorie conquistate dalla Salernitana nel girone d’andata: quella contro il Genoa in casa e quella contro il Venezia in Laguna.
Quello visto al Penzo è stato per distacco il miglior Ribéry con indosso la maglia granata e poco importa se, di fatto, da quel momento in poi non è praticamente mai più riuscito a vedere il campo con continuità a causa dei problemi al ginocchio che l’hanno condizionato nell’ultimo anno e l’hanno costretto al ritiro.
È di fondamentale importanza sottolineare, però, che l’esperienza di Franck a Salerno non può e non potrebbe essere valutata solo per ciò che il francese ha fatto sul rettangolo verde.
È difficile pensare che la squadra avrebbe potuto raggiungere lo straordinario e incredibile traguardo della salvezza se non avesse avuto Ribéry in rosa. Ed è altrettanto più difficile immaginare che nonostante gli sforzi profusi da Sabatini, Iervolino e Nicola, senza di lui sarebbero arrivati a Salerno tutti i calciatori che sono effettivamente arrivati durante la sessione invernale di calciomercato quando la situazione in casa granata era a dir poco disperata.
Il fatto stesso che dopo una carriera da protagonista ai massimi livelli del calcio mondiale abbia deciso di chiudere la propria esperienza da calciatore in maglia granata qualifica Ribéry per quello che è: un Campione.
Un esempio da seguire per chiunque voglia approcciarsi al gioco del calcio, per chiunque ami questo gioco.
Partendo dal giorno della presentazione, passando dal tragicomico incidente automobilistico, dalla salvezza maturata in modo rocambolesco, sino ad arrivare ai festeggiamenti in bici per le strade cittadine, Ribéry ha reso orgoglioso un popolo che, a prescindere dalla categoria in cui si milita, non ha mai chiesto altro che senso di appartenenza e dedizione alla causa.
Ribéry nei suoi 18 mesi a Salerno ha dimostrato che l’essere “pisciaiuolo” non è un titolo ereditario, bensì una condizione dell’essere.
E il popolo salernitano – che sicuramente avrà mille difetti ma che sa riconoscere un proprio simile – sarà sempre grato a quell’uomo venuto da lontano che nonostante i tanti traguardi raggiunti nella propria carriera, per ragioni che sfuggono a ogni tentativo di comprensione, ha deciso di sposare la causa granata durante l’ora più buia.
Resta il rammarico di non aver potuto esultare per un suo goal, ma i salernitani potranno sempre rivendicare con orgoglio di aver avuto tra le proprie fila Franck Ribéry: un campione di vita, ancora prima che un campione in campo. Un’epifania che ha cambiato per sempre la storia della Salernitana.