Lin Suquing aveva 49 anni, cinese, è stata trovata morta e nuda sul letto ad Agropoli. Nunzia Maiorano, 41 anni, è stata uccisa con 40 coltellate dal marito a Cava de’ Tirreni. Antonietta Cianco, 69 anni, è stata uccisa con un colpo di pistola alla nuca dal marito a Sapri. Violeta Mihaela Senchiu, 32 anni, rumena, è stata bruciata viva dal compagno a Sala Consilina.
Quattro donne, quattro storie di violenza, quattro vite spezzate. Nel 2018, la Campania è stata la terza regione italiana, dopo Lombardia e Lazio, con più femminicidi. E dopo Napoli, la maggior parte dei casi di violenza finita in tragedia proviene proprio da Salerno.
Sono 1258 le donne che, in Campania, nel 2018, si sono rivolte agli sportelli anti-violenza presenti sul territorio. 248, invece, i casi di violenza sulle donne denunciati, nello stesso anno, solo nella provincia di Salerno. Nel 40% dei casi, queste donne sono sposate, nel 30% dei casi non hanno un’occupazione. Sono questi i dati emersi dal report annuale dall’Osservatorio sul fenomeno della violenza sulle donne presentati a settembre, nella sede del Consiglio Regionale della Campania.
Dati angoscianti che, oggi più che mai, – ma dovrebbe esser così ogni giorno – ci fanno pensare a quanto ancora la violenza sulle donne sia una piaga della nostra società da combattere con forza e disprezzo. Ogni numero, ogni dato crudo e sterile che leggiamo all’interno dei report rappresenta una singola donna, una storia individuale di dolore e crudeltà, di possesso e soffocamento della libertà personale. Ma se pensiamo a quante siano le donne che subiscono violenza e che la denunciano, non possiamo non riflettere su quante, invece, ancora non denunciano, non reagiscono, o peggio, quante, ancora oggi, giustificano le proprie violenze.
Le proprie violenze, sì. Perché ogni storia di violenza è diversa dalle altre. Ognuna di esse racchiude in sé parole, sguardi, schiaffi diversi, centellinati e sparsi in giorni, mesi, anni.
La violenza, infatti, non è solo quella fisica e non lascia sempre lividi visibili sulla pelle. Violenza è anche “non vali niente”, “stai zitta”, “vestiti meglio”, “non puoi farlo”.
Per il 24% degli italiani le donne possono provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire e circa il 14% considera normali gli schiaffi nella coppia. Inoltre, il 15% ritiene che una donna che subisce violenza sessuale da ubriaca o sotto effetto di stupefacenti sia, almeno in parte, responsabile. Il 39% della popolazione, infine, pensa che una donna possa sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Questo è ciò che emerge da un rapporto Istat sui ruoli di genere, dati diffusi proprio nella giornata odierna.
Un mix letale di stereotipi, pregiudizi e false credenze ancora troppo radicate nella mente degli italiani che rappresentano la parte marcia della nostra società.
Quello che ancora non è chiaro e che, nel 2019, in una società che si definisce progressista e moderna, dovrebbe esserlo è il fatto che il massimo che può capitare ad una ragazza che decide di mettere in mostra il proprio corpo in shorts e minigonna è lo sguardo degli uomini dei quali si attira l’attenzione e qualche complimento di troppo.
Esiste una linea – nemmeno tanto sottile – tra il guardare e commentare e lo stupro, conseguenza bestiale di una mente malata. Se lo stupro fosse una conseguenza di un abbigliamento un po’ succinto, allora non potremmo più andare al mare senza che un uomo ci salti addosso mentre camminiamo per la spiaggia in un normale bikini che – a parità di stoffa – è uguale ad un due pezzi intimo.