Insomma, Sabino non si meritava la mia collera. Tutti mi dicevano di darmi una calmata, di lasciar perdere la politica e tornare alla scacchiera, me lo diceva anche Yuri. Lui era agnostico di famiglia ebrea. Qualche mese prima aveva pubblicato un post in cui diceva che bloccava Max Mollica, perché era un pericoloso esponente di estrema destra e veicolava contenuti antisemiti. Max è il Voldemort di questa storia, forse era lui che stava affrontando nella visione, come una Bestia dentro di me. Io ci parlavo tranquillamente, un po’ lo capivo, condividevamo il malessere fisico, anche lui era in sedia a rotelle. Mi aveva permesso di partecipare a un torneo a Budapest, credo mi volesse bene.
Era sardo, non l’ho mai visto. Mi ripetevo che sì, era un po’ insistente, ma non mi aveva mai fatto del male. I conoscenti di Mollica mi mettevano in guardia: “Mollica è partito col tuo stesso handicap, ma i suoi genitori l’hanno amato troppo e lui ha sviluppato un super ego. Odia tutto ciò che è americano, dice di non essere antisemita ma insulta gli ebrei. Inoltre, è complottista, allontanati da lui”.
Naturalmente i post di Mollica mi davano fastidio, ma era bastato cliccare “Non seguire più” per farli sparire dalla mia home. A volte erano talmente brutti da risultare comici. Max non raccoglieva più di un mi piace alla volta, per fortuna. Nonostante questo si preoccupava di tradurre in un inglese maccheronico i suoi deliri. Un giorno un mio amico commentò: “Studia, invece di massacrare la lingua del bardo”.
Fu immediatamente rimosso dagli amici. A Novembre Max usò la mia bacheca per fare propaganda antivaccinista. Gli risposi di non scherzare sulla salute dei miei futuri figli e lo bloccai. Poi mi avvisarono che lui aveva scritto un lungo post delirante contro di me, ma alla fine parlava solo di se stesso.
“Lo vuoi leggere, Ceci?”
“No grazie, non ci tengo”.
Ripensai a quando Max mi aveva prestato il suo account su playchess e per qualche tempo fui Antonella Mollica davanti a migliaia di utenti.
“Yuri, Yuri, diventerò come Mollica” gli scrissi.
“Non dire stronzate, tu non potresti mai diventare così, ti mancano proprio i presupposti”.
Così la mia amicizia virtuale con Max finì e fu una liberazione, ma mi lasciò anche un vuoto dentro. Capii che non li potevo salvare tutti.
“Ma perché li devi salvare tutti? Non pensi un po’ a te?”. È gennaio 2017, sono stata affidata ai dottori De Vincenti e Idotta, loro mi aiutano a capire meglio cosa mi passa per la testa, sembrano le persone adatte. Devo vederli ogni sera alle sei, il che fa raffreddare la mia cena, che già di per sé non è un granché. Il dottor Idotta, nel farmi le domande, mi guarda negli occhi. Il dottor De Vincenti, come al solito, si tocca la barba e tace.
“Io sono Cecilia Monica A. Angelini, devo salvare tutti, è scritto nel mio nome”.
“Ancora questa ossessione per i nomi”.
“Ho cominciato a svilupparla a novembre, dicembre, dopo che ho eliminato Max. Ho pensato: non voglio diventare un Max. E poi quel giorno all’università ho cominciato a dare un nome alle cose”.
Racconto loro che era novembre e che mi stavano per buttare fuori dal Dipartimento di Storia. Non mi era mai capitato prima, avevo sempre tenuto un comportamento esemplare. Stavo litigando al telefono ad alta voce da parecchi minuti con un amico molto caro, Enrico, che mi stava dando della “Fascista di Sinistra”, mi stava comparando a Berlusconi. Non avevamo finito di discutere, ma mi si era quasi seccata la lingua e dovetti riattaccargli il telefono in faccia. Mi dispiaceva perché con Enrico ci conoscevamo da almeno dodici anni, il suo più grande difetto è che legge Travaglio tutti i giorni, ma glielo si perdona perché è di buono stampo. Nei momenti delicati lui c’era, molto più dei vari Axel e compagnia cantante. Mi ha sempre sostenuta, anche nelle mie idee più bizzarre. Quando gli ho detto che volevo mollare tutto per studiare matematica, non mi ha presa per pazza, ha detto che l’idea gli piaceva. Anche nei miei periodi di mutismo con lui riesco a parlare. E ora mi stava rimproverando. Studia medicina, vorrebbe specializzarsi in psichiatria, forse per quello continua a frequentarmi. Stava ancora parlando quando riattaccai. Dieci minuti prima una signora bionda era uscita da un ufficio, mi aveva intimato di parlare più piano e io l’avevo quasi ignorata.