Non ho imparato moltissimo dalla mia esperienza politica che va avanti ormai da otto anni (contando da quando ho preso la tessera del PD). Ma una cosa la so, perché l’ho sperimentato sulla mia pelle: non è bene legarsi a un leader particolare (leggi: Matteo Renzi, ma non solo lui), diventare una bimba di Conte o aderire a una corrente in virtù della stima verso il capo di suddetta corrente; se aderisco a un gruppo lo faccio partendo da un programma e non idolatrando una persona. A mettere su un piedistallo qualcuno si rimane puntualmente delusi. Non dico che le correnti siano il male, anzi vanno ascoltate, ci vuole la radicalità di Cuperlo e ci vogliono anche i “vecchi” democristiani e quelli più a destra e quelli più a sinistra, ma poi compito del segretario è fare sintesi e portare avanti una linea comune. Sennò ha ragione chi dice che il PD in realtà non è mai nato a causa delle sue anime molteplici.
Dettò ciò, Enrico Letta è una persona per bene e con le idee chiare. Adesso posso andare in giro a dirmi aderente al Partito senza sentire il bisogno di giustificarmi. Letta in qualche modo fa parte della mia storia personale, ho studiato per un anno alla sua scuola, che non è fatta solo di relatori, ma anche di scambio con gli altri studenti. Se ripenso alla scuola di politiche in epoca pre-Covid non mi viene in mente subito un professore, ma un piatto di cacio e pepe, mentre discutiamo fra noi ragazzi dei temi più vari e lo facevamo con cognizione di causa. Oggi, appena metto il naso fuori di casa, sento gente che si sente in dovere di dirmi come avrebbe gestito una pandemia mondiale e parla a vanvera, mentre invece gli studenti di Letta davvero sapevano di cosa stavano parlando. L’idea che questa esperienza possa allargarsi o che in parallelo ad essa possa nascere un’Università Democratica mi scalda il cuore ed è possibile solo perché esistono ancora persone come Enrico Letta. Un uomo che ha sette vite, come i gatti, credi di averlo fatto fuori per sempre, invece rispunta, con il coraggio e la sventatezza dell’assassino che ritorna sul luogo del delitto, con la differenza che lui era la vittima. Può sembrare incredibile che dopo i fatti del 2013 abbia ancora voglia di fare politica, ma bisogna ricordare che la scuola di politiche ogni anno riceve in media ottocento candidature e ogni candidatura è sintomo di una passione. Mi piace pensare che questa passione l’abbia convinto a non mollare.
In generale oggi è una giornata di festa per le democratiche e i democratici italiani, ma non mancano le note amare. In primo luogo non ci sono state le consuete primarie, con tutta probabilità sono rimandate al 2023, quando scadranno le insalate pronte nel frigo. E questo non solo per la situazione pandemica, ma anche perché quella di Enrico Letta era l’unica candidatura valida pervenuta. Rimango una grande fan delle primarie: al netto di tutti i loro difetti, sono un appuntamento importante per i militanti e non solo loro. Ogni volta richiamano dai due ai tre milioni di italiani; d’altra parte questo è compensato dalla futura nascita di nuovi spazi di confronto per la base, le cosiddette agorà democratiche. Non si sa bene come funzioneranno, ma se ne sentiva il bisogno. L’altra nota negativa, uno dei temi centrali del discorso di Letta, è la questione di genere. Mi aspettavo che i tempi fossero maturi per una donna segretario (o anche donna segretaria, ditela come volete), ma evidentemente dovrò andare in pensione prima che questo succeda.
Conscia che i miracoli non esistono, auguro buon lavoro a Enrico Letta e lo ringrazio per il meraviglioso anno di scuola a Roma e a distanza.