In Italia la burocrazia può tutto, ma questo non rappresenta una novità. Dati alla mano, la sua incidenza appare allarmante soprattutto se collegata ai rischi del territorio e ai relativi interventi di messa in sicurezza. Allo stato attuale, infatti, secondo FederCepi, in Campania quasi 366 milioni di euro per la messa in sicurezza del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico, sono bloccati dalla burocrazia. Si tratta di risorse destinate al completamento della progettazione esecutiva degli interventi per 2,4 miliardi di euro (1,6 nel Mezzogiorno), fermi per intoppi procedurali di varia natura.
L’articolo 55 della legge n. 221/2015 (cosiddetto “Collegato ambientale”) ha disposto l’istituzione, presso il ministero dell’Ambiente e la tutela del territorio e del mare, di un apposito fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, al fine di favorire l’efficace avanzamento delle attività progettuali delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico e provvedere a rendere le stesse immediatamente cantierabili. Le risorse del Fondo sono poi confluite in un unico capitolo di bilancio destinato alle Regioni. Con decreto direttoriale n. 417 del 09.08.2018, è stato approvato in Campania il finanziamento di 54 interventi contro il dissesto, in grado di attivare opere per circa 366 milioni di euro. Ma i lavori non sono mai partiti. Tra questi figurano, in provincia di Salerno, gli interventi per la sistemazione definitiva a monte delle aree a rischio e per il ripristino delle aree di Sarno pari a 558.007 euro (9 milioni di euro di lavori) e il progetto per la messa in sicurezza idrogeologica del territorio di Amalfi, patrimonio Unesco, di quasi 600.000 euro (14,9 milioni per lavori). I dati emergono da uno studio della Corte dei Conti (“Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico (2016-2018).
Nel mirino dei costruttori, le lungaggini procedurali e le inefficienze della burocrazia: si sommano al carico di lavoro per le strutture commissariali, senza strutture di supporto per gestire interventi di enorme complessità tecnica. La banca dati telematica ReNDiS, inoltre, avviata nel 2014, ha finito per congestionare ulteriormente gli iter burocratici, “una situazione tanto più incresciosa se si considera che si tratta di investimenti per la messa in sicurezza del territorio: soltanto in Campania parliamo di 17 interventi per la prevenzione di alluvioni, 36 contro il rischio di frane e uno per la sicurezza delle coste. L’anticipazione sulla progettazione esecutiva è stata materialmente erogata oltre un anno e mezzo fa ma non ci risulta sia ancora materialmente partita”, dichiarano da FederCepi. La Corte dei Conti, nella sua analisi, sembra confermare la tesi, evidenziando la frammentazione del sistema di rilevamento dei dati, distribuito tra più banche dati in parte tra loro contrapposte, sovrapposte e non dialoganti. Oltre a un non efficiente sistema di controllo e monitoraggio.
In Italia sono più di 1.600 i Comuni a rischio frane e alluvioni, il 20% del totale (170 in Campania, il 24,5% del totale). I Comuni con pericolo frane classificato dall’ISPRA “molto elevato” ed “elevato” in Campania sono addirittura 135. Il 60,2% del territorio regionale è a rischio frana, un dato enormemente superiore al dato medio nazionale (19,9%).
Quasi un comune su quattro, in Campania (il 24,5%) è esposto a rischio frana, a fronte di una media nazionale del 20,1%.