Smart working, letteralmente significa “lavoro agile”. E, di certo, non se ne sta iniziando a parlare solo ora, in questo periodo di psicosi e coronavirus, ma già da molto tempo. Si tratta di una nuova concezione del lavoro, un lavoro flessibile e, talvolta, itinerante che, in linea di massima, permette alle persone di lavorare senza dover immergersi completamente nel proprio lavoro, tralasciando qualsiasi altro aspetto della propria vita.
Lo smart working è caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Questa nuova filosofia – è stato testato – aumenta la produttività del lavoratore perché la sua giornata di lavoro si concretizza attorno alla propria persona, facendolo sentire molto più a suo agio.
In Italia, esistono già molte realtà aziendali che hanno scelto lo smart working e, in questo periodo di emergenza, la riflessione attorno al lavoro agile si sta trasformando da necessità in opportunità di innovazione. La crisi legata al coronavirus è, prima di tutto, economica. Sì, perché se la chiusura degli esercizi pubblici blocca il flusso fisico dei guadagni per giorni, se non settimane, la chiusura delle sedi aziendali risulta altrettanto dannosa.
Perché non sfruttare le potenzialità del digitale, dunque, e cercare di trasformare un evento negativo in qualcosa di potenzialmente fruttuoso?
Le cosiddette zone rosse italiane, nelle ultime settimane, hanno fatto appello proprio allo smart working per non bloccare tutto e continuare a lavorare da casa, anche in quarantena. Ma in Campania, com’è la situazione attuale?
A Napoli, alcune aziende si stanno aprendo al mondo dello smart working. La Regus, azienda che si occupa della fornitura di materiali da ufficio, è una di queste.
Il 9 luglio scorso, in Confindustria Avellino, i rappresentati della Cofren Srl di Avellino, società del gruppo multinazionale Wabtec, specializzata nella produzione di componenti e sistemi frenanti, e le organizzazioni sindacali Territoriali hanno sottoscritto il primo accordo in Irpinia che introduce lo smart working in una azienda manifatturiera.
L’accordo prevede la possibilità che i dipendenti di alcune aree, il cui lavoro non è strettamente legato alla presenza in sede, possono lavorare da casa per un giorno a settimana.
La nuova concezione di lavoro, però, in Campania è ancora molto debole.
Nel 2017, la Regione Campania aveva dato vita al progetto “Lavoro agile per il futuro della PA”, volto a sperimentare pratiche innovative per la conciliazione vita-lavoro nelle amministrazioni pubbliche. I fondi ricevuti dalla Regione da parte della Presidenza del Consiglio si sarebbero dovuti investire per realizzare percorsi di smart working per i propri dipendenti. Questa linea d’azione, che sarebbe dovuta partire tempo fa, a ritmi più sostenuti, avrebbe reso la Campania, oggi, a fronte di un’emergenza come il coronavirus, molto più pronta e reattiva.
Certo, ora come ora (e si spera neanche nel giro delle prossime settimane) la nostra regione non è una delle zone rosse e quindi le persone possono andare a lavoro tranquillamente. Tuttavia, i percorsi di avviamento al lavoro agile avrebbero garantito migliori condizioni e più efficienza negli uffici pubblici.
È anche vero che, pur non rappresentando una zona-focolaio, la Campania – così come il resto dell’Italia – sta attraversando un momento difficile. Sì, perché è giustissimo che regioni come Lombardia e Veneto siano avvantaggiate nella gestione delle attività commerciali (sospensione pagamento tasse, ad esempio), ma è pur vero che – in un clima di paura e panico generale – anche gli esercizi pubblici di altre città ne risentano. Ristoranti e bar situati nelle zone limitrofe al centro città tendono a svuotarsi prima. Le persone continuano ad andare a lavoro, ma se possono risparmiarsi di uscire per diletto lo fanno. E allora andare avanti diventa difficile per tutti.
Sarebbe necessario e auspicabile, dunque, che si allargasse lo sguardo e si riflettesse – preventivamente – anche attorno alle zone che (fortunatamente) oggi non vivono una situazione straordinaria, ma che in futuro (in questa occasione o in altre) potrebbero trovarsi ad affrontare. Che si tratti di smart working o di lavoro tradizionale, l’attenzione dovrebbe rimanere sempre alta.