“Panem et circenses“. Approvvigionamenti e svago. Una locuzione fondata sul dualismo di due componenti che, fin dalla Roma imperiale, sono il mercurio interno al termometro dei furori del popolo. Saltasse uno o entrambe, il dissenso e poi le sommosse. Non è sulla semplice demagogia che, però, si fondano le problematiche intestine al nostro tempo. Si potrebbe iniziare dall’allegoria per affrontare, in maniera semplicistica, le tematiche che non concedono sonni tranquilli a chi governa e gorgoglii di stomaco a chi, abbandonato alla propria sorte, è costretto a sottostare. Le vesti dell’imperatore stravaccato sul triclinio del potere potrebbe indossarle il complesso mondo della finanza, i leoni rappresentano i morsi della fame e il pane è obiettivo finale, dovuto.
“Panem et circenses”, le catene ultime della distribuzione di generi alimentari si affollano di anime indigenti a cui il diritto primario del nutrimento non è più accessibile, sepolto dall’incalzare di una crisi – sanitaria e poi economica – senza precedenti. Anche il gioco del calcio giustamente sospeso – sintesi di una spensieratezza dai tratti propriamente italiani – calca la mano su una situazione al limite del collasso. La crisi d’astinenza da 90esimo minuto si coniuga con gli acidi gastrici impegnati a digerire le pareti di uno stomaco già ulcerato. Il “lockdown” dettato dalla parabola del Covid-19 colpisce – in maniera tristemente democratica – le tavole di produttori e consumatori, un cane che si morde la coda a cui il governo deve far fronte, in modo da alleviare il sentimento di abbandono, protesta e rivolta che inizia a serpeggiare fra chi non riesce a sfamare sé stesso e la prole.
Al vaglio, da parte del Ministero del Lavoro, un Reddito di Emergenza. Tre miliardi di euro potrebbero presto venire erogati rappresentando una misura straordinaria che, per la prima volta nella storia repubblicana, strizza l’occhio ai lavoratori sommersi, quei dipendenti in nero mesto “vanto” per la nostra penisola, per il meridione in particolare. Intanto si accende il lume di sparute agitazioni, la fame pretende il suo tributo e, per il momento, il Ministero degli interni è costretto a sedare i moti aumentando la presenza delle forze dell’ordine all’esterno dei supermercati, teatri di scontri difficili da gestire. Sono necessari provvedimenti inclusivi applicabili per coloro i quali versano in condizioni di aspra difficoltà, è necessario, in aggiunta, sfrangiare la mastodontica burocrazia – altro vezzo propriamente italiano – per rendere sacrosanto ciò che dovrebbe essere concesso per natura, il sostentamento di base. È in gioco la coesione sociale del paese, in ballo le regole di una civiltà troppo spesso tenuta in scacco, terreno fertile per le mafie di ogni ordine e latitudine. Giunge a tal proposito il bisogno di regolarizzare la posizione di chi – sintonizzato, suo malgrado, sui verdi lamenti dell’Alabama che fu – lavora i campi e muove, fra calli e sudore, i primi passi della filiera alimentare. Se crolla il sistema produttivo di base – considerata la penuria di lavoratori stagionali che ci si appresta a registrare – crolla l’intero ingranaggio che sostiene il paese. Un comparto produttivo da strappare con foga alle dinamiche del caporalato, per restituirgli quei connotati umani stravolti, negli anni, dalla longa manu dello sfruttamento e delle organizzazioni criminali.
Se la rete solidale si fa letteralmente in quattro – frangiflutti di fortuna per un malcontento che divampa e non si placa – provando a sostenere e confortare situazioni ormai al limite; ecco conferita l’ennesima patata bollente fra le mani di un esecutivo iper-sollecitato. Urge, infatti, uno stanziamento di fondi tale da levigare con celerità le endemiche sofferenze degli emarginati.
L’imperativo è smerigliare. Rendere meno spigolosi e taglienti i cocci di uno specchio ormai infranto. Per non dar conto, in un domani già prossimo, a nuove e più violente derive.