Quattro luglio 2020, così recita la data di scadenza. “Spavalderia a processo”: questo il titolo del sequel che tanto ci piacerebbe gustare. Con dialoghi e scenografia inventati di sana pianta (neanche troppo lontani dalla realtà, pensandoci) vogliamo immaginare l’idilliaco, poi brusco, risveglio di Matteo Salvini.
Il primo raggio di sole si fa strada con fare circospetto, si scioglie e avvolge in un caldo sospiro il poster di Franco Baresi incollato – anche abbastanza storto – al muro. Il canarino ingabbiato in salotto cinguetta l’aria del “Va pensiero”, le tartarughe custodite nella vaschetta (irrorata d’acqua del Po) meditano il trasferimento in un’indecifrata clinica elvetica sognando il suicidio assistito, un toast bruciacchiato attende d’essere cosparso di italica confettura per poi essere spalmato su Twitter da Morisi. Tutto procede secondo copione: la copia di “Libero” sul mobile da ingresso, la polo della Nazionale italiana di scacchi ben piegata sulla sedia, i braccialetti colorati (da adolescente che ha appena scoperto le gioie del trastullarsi) sul comodino, la mascherina con filtro FFP3 e le chiavi di casa adagiate sul portaoggetti.
Irrompe nello scenario collaudato di chi si prepara alla giornata, inatteso e disorientante, il trillo del telefono. Salvini, colto di sorpresa, intima – con fare paterno e per nulla aggressivo – di abbassare il volume della tv alla precoce figlioletta che, nel frattempo, fissa rapita un documentario di Rai Storia (ritiene troppo stupida la programmazione di Rai Yoyo) sulla Tennessee Valley Authority Act di Roosevelt. Dall’altro capo della cornetta l’avvocato di fiducia si traveste da uccellaccio del malaugurio: – “Buongiorno Matteo, abbiamo ricevuto una convocazione.” – “Bene, da papà e da italiano sono estremamente felice. Finalmente Mancini si è reso conto che sono molto più affidabile di quel “terroncello” di Immobile. Quindi? Quand’è che si va a Coverciano?” – L’avvocato rotea gli occhi all’insù e raccoglie a piene mani la pazienza residua – “No, Matteo. Non si tratta di una convocazione in Nazionale.” – “Beh, allora? Si tratta del Milan? Finalmente Pioli si è reso conto che sono più affidabile di quel “vu’ cumprà” di Leao. Giocherò al fianco di Zlatan, da papà e da italiano ne sono immensamente orgoglioso. Quand’è che si va a Milanello? – L’avvocato è tentato dal riagganciare terminando così la difficoltosa comunicazione – “No, Matteo. Si tratta di una convocazione proveniente da Catania”. – “Catania? In Serie C? E che ci vado a fare? Uno come me non può ripartire dalla terza serie, è un’ingiustizia! E poi vado lì e che gli dico? Che mi affido al cuore immacolato di sant’Agata? Suona davvero male, no. Non esiste! E poi non posso indossare la maglietta del Catania, lo sanno tutti che il rosso-azzurro ingrassa. Però, effettivamente, male non fare paura non avere. Quand’è che si va a Torre del Grifo?”. – L’avvocato non ne può più. Inspira a fondo, proietta la mente per silenziosi passi alpini, rilassanti ruscelli di montagna e ripete per tre volte: “Nam-myoho-renge-kyo. Nam-myoho-renge-kyo. Nam-myoho-renge-kyo”. Poi, con le ultime forze rimaste, tutto d’un fiato – : “MatteoAscoltamiPerl’AmordiDioeNonInterrompere! Siamo stati convocati dal tribunale di Catania, ti ricordi il caso della nave Gregoretti? Perfetto, sabato quattro luglio siamo a processo. Buona giornata!” *CLIC*
Matteo sbianca di colpo, si accascia sulla poltrona e riflette per una decina di secondi (tale il tempo di autonomia delle sue sinapsi). Si alza, risoluto, e si avvia verso la cucina. Ha bisogno di rilassarsi. Cerca a lungo il boiler, finalmente lo trova. Lo deposita sui fornelli ed inizia ad armeggiare fra i cassetti. Eccolo! L’infuso al ciclamino! Accende il gas, si connette a Facebook digitando la password nuova di zecca *primagliitaliani* e scrive la prima cosa che gli passa per la testa: “Surreale che in un momento del genere la giustizia pensi a fare il suo corso“. Rilegge con fare compiaciuto ciò che – ad essere onesti – gli ha suggerito Morisi poco prima su Whatsapp. La tisana è pronta, la versa nella tazza su cui campeggia la dolcissima silhouette di Borghezio, ci soffia su e prova a sorseggiare – “Che porcheria! Andrebbe allungata con un goccio di Vecchia Romagna!” – il nome del brandy, però, gli porta alla mente la coccia rasata di Bonaccini, gli autogol della Borgonzoni – “A proposito, che fine ha fatto Lucia? Forse dovrei chiamarla, magari la propongo al posto di Fontana in Lombardia” – e la debacle emiliano-romagnola dello scorso gennaio. Perciò, disgustato, continua a sorseggiare la floreale cicuta ripetendo come un mantra il termine testé imparato: surreale.
Sequestrare 131 persone – sfoggiando pieni poteri – bloccandole per tre giorni al largo di Augusta in modo da alimentare il sordido bacino elettorale della Lega? Questo si che è surreale. Caracollare per le vie di Roma mano nella mano con la “Francy” mentre incalza il lockdown? Questo si che è surreale. Fregarsene delle misure igienico-sanitarie invocando l’apertura delle chiese per Pasqua? Questo si che è surreale. Rivolgersi a Mattarella definendolo “venduto”? Questo si che è surreale. Brandire rosario e vangelo per accattivarsi il consenso dei timorati di Dio, magari confondendo il labile confine che divide voto e questua? Questo si che è surreale. Armare legioni di sconclusionati incitandoli a odiare il prossimo perché proviene dal mare? Questo si che è surreale. Promuovere (non personalmente, ma di solito è il Segretario di partito a rispondere dei danni commessi dai “sottoposti”) una delibera regionale attraverso cui spostare i malati di Covid-19 all’interno delle case di riposo per anziani, dando inizio ad una sorta di “soluzione finale” in salsa padana? Questo si che è surreale. Stravolgere la proposta flessibile del Meccanismo europeo di stabilità – firmato dalla sua coalizione, anni prima, senza averlo mai letto – per mettere i bastoni fra le ruote ad un Presidente del Consiglio che opera, fra sterminate difficoltà, per il bene della nazione? Questo, oltre ad essere surreale, è anche sintomo di un cinismo che va di pari passo con l’analfabetismo funzionale.
Ci tocca, dobbiamo congratularci col capitano. Surreale è un termine che calza a pennello, estrema sintesi di una condotta politica al cui cospetto le tele di Salvador Dalì – non ci fulmini dall’alto della sua nuvola di denso formaggio – sembrano raffigurare scenari di una incontrovertibile realtà.
Chiediamo, adesso, un ultimo sforzo alla vostra immaginazione. Siete seduti nell’abitacolo di una sfavillante DeLorean, pigiate sul tastierino del contachilometri il luogo “Jolly Hotel, Segrate (MI)” e la data “7 dicembre 1989”. Ingranate la marcia e sfidate le leggi della fisica tornando a quel punto spazio-temporale in cui il muro di Berlino è caduto da un mese esatto, il crollo delle due chiese (DC e PCI) è ormai prossimo e Totò Schillaci sta per diventare il centravanti più amato dagli italiani. Parcheggiate ed avviatevi a passo sicuro verso la hall dell’albergo, camuffate la voce – se troppo spiccatamente meridionale – e domandate dov’è che si tiene il congresso della Lega Lombarda. Una hostess dai tratti ariani vi accompagna in un salone enorme. Lo spazio è costellato di numerose bandiere che raffigurano la sagoma di Alberto da Giussano. Il prode condottiero si staglia – a spada sguainata – sulla croce di sant’Andrea. Al microfono c’è Umberto Bossi (futuro Senatùr) che articola un discorso dai velenosi tratti secessionisti. Ventilata qua e là l’indole federalista di un futuro partito che, in quel momento, sventola fiero nella galassia dei gruppi autonomisti: Union Valdotaine, Liga Veneta, Moviment Arnàssita Piemontésa, Sudtiroler Volks Partei. Fra un’invettiva nei confronti di “Roma ladrona” e il disgusto unitario per i meridionali che gozzovigliano affamando i popoli del nord cercate, sommessamente, di prendere la parola: “Illustri compagni (alcuni di loro provengono dalle fila del PSI, ma forse sarebbe meglio tralasciarlo chiamandoli semplicemente “colleghi”) cosa pensereste se vi dicessi che fra circa 30 anni un successore “X”, prendendo le redini dei vostri sforzi attuali, trasformasse il movimento federalista in un partito nazionalista? Cosa pensereste se, per puro amor di consensi, decidesse di svolgere le proprie tournée elettorali laddove – secondo il vostro illustre parere – regna incontrastato il colera? Cosa pensereste di lui se sostituisse l’intramontabile “Cassœula” con gli arancini siciliani? Cosa pensereste se a condannarlo, un domani, fosse il tribunale “terrone” di Catania?” A intervento concluso vi consigliamo di tapparvi le orecchie per pararvi dai fischi, focalizzare il luogo in cui avete posteggiato la DeLorean e cimentarvi in una fuga rocambolesca, degna dei migliori film d’azione.
La reazione dei leghisti della prima ora, come preventivabile del resto, non è stata propriamente amichevole. Surreale, no?