La Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni della sentenza del 30 maggio scorso sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis Sativa. “Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie, infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)”. Vendere derivati della cannabis sativa è dunque illegale. Così la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, ha affermato che il commercio di questi prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti, che incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis, senza operare alcuna distinzione rispetto alla percentuale di Thc che deve essere presente in tali prodotti. “Ciò che occorre verificare – si legge nella sentenza – non è la percentuale di principio attivo contenuta della sostanza ceduta, bensì l’idoneità della medesima sostanza a produrre in concreto un effetto drogante”. Consiste in un reato “l’offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati della coltivazione della cannabis sativa”.
Secondo la legge, poi, la canapa rappresenta una risorsa ma non nell’ottica della produzione di Hashish e Marijuana. “Dalla canapa – si legge nelle motivazioni – si possono ricavare fibre e carburanti, alimenti e cosmetici prodotti nel rispetto delle discipline dei propri settori, semilavorati come fibra, canapulo, polveri, cippato e una lunga serie di altri materiali, ma non hashish e marijuana”.
La Suprema Corte aveva decretato, con la sentenza dello scorso 30 maggio, il divieto di vendita dei derivati della cannabis sativa: foglie, inflorescenze, olio e resina non potranno più essere commercializzati salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante. E proprio quest’ultimo passaggio aveva disseminato perplessità sulle motivazioni della sentenza. La cannabis light poteva essere venduta proprio perché conteneva una quantità più bassa di principio attivo di quello previsto dalle tabelle degli stupefacenti, le stesse che determinano le quantità minime per classificare la sostanza come droga o meno. Ma proprio la Cassazione, le cui sezioni avevano affrontato più volte, ed esprimendo pareri differenti, casi di vendita di cannabis light, in precedenza aveva individuato nella concentrazione inferiore allo 0,5% di thc le percentuali al cospetto delle quali non si è in presenza di capacità drogante.