Aña e un foglio bianco

“Camminare sul velluto, solo questo, camminare sul velluto. L’importante è non fermarsi: non soccombere a quel senso di vertigine.”

Questo si ripeté Aña, prima di calcare il palco, prima che il sipario si aprisse di fronte alla platea.

Sebbene Aña si sia esibita sui palcoscenici di molti teatri, di città in città, un attimo prima dell’apertura del sipario Aña non mancava di provare quel senso di conflitto interno: tra panico e adrenalina, sospensione e voglia di fuggire.

Le luci sul palco; il cuore che si rimpicciolisce a ogni respiro, diventando sempre più veloce e ristretto; gli umori del pubblico.
Un passo.

Non una semplice formalità: il passo è decisione, esorcizzare la stabilità, muoversi in acqua contro le correnti del mare.

Un altro passo, ancora uno verso il leggio e poi dare vita a quel foglio lì posato: una platea che ascolta un fruscio di parole che le fuoriescono dalle labbra, mentre il peso di ognuna, calibra quel miscuglio di emozioni intrappolate dentro. Sono sere in cui l’anima vola. Leggera.

L’ultima riga e poi il silenzio.

Quanto dura quella frazione di secondo?

Spazio indefinito, prima che il pubblico decida se sia giusto tributarle un lungo applauso o l’indifferenza tagliente. Eccola, quella lunga sequenza scrosciante di mani che si aprono e si chiudono all’unisono.

Un lungo respiro, sensazione di sollievo, prima di scendere da quella giostra.

Aña e un foglio bianco, un universo di inchiostro per scomporre il tempo, dargli ritmo, proteggere gli attimi; fluttuare in nuove storie, essere un’altra da sé. Il mondo attraverso i suoi occhi, nella lentezza di una stanza. La penna delinea una terra di confine: scrivere per scrutare i suoi abissi, scrivere per disconoscersi tra le ferite dell’umanità.

Troverà una sintesi a quel soqquadro emotivo, ogni volta che salirà sul palco: rompendo il muro del silenzio con il suono delle parole. Le proprie.

Gian Luca Sapere

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