La guerra delle mascherine e gli untori 2.0

“Mascherina” è una delle parole che abbiamo sentito più spesso negli ultimi mesi. All’inizio di questo lockdown neanche sapevamo come si indossasse, eravamo confusi, non sapevamo quale acquistare – col filtro, senza filtro, chirurgica, di stoffa – per un attimo siamo stati davvero capaci di uscire di casa con un assorbente o la carta forno attaccata in faccia e non avevamo capito ancora quanto fosse importante utilizzarla. Oggi, dopo solo due mesi, la mascherina è diventato un capo del nostro outfit, è parte di noi e rappresenta – in qualche modo – uno scudo aggiuntivo contro ciò che ci è stato così fortemente negato: la vicinanza sociale.

Complice la paura, l’ignoranza, la fame e la perenne tendenza ad esagerare nelle azioni e nelle reazioni di noi esseri umani, la mascherina è diventata quasi un’arma che brandiamo fieramente contro quel mostro invisibile che ci spaventa e ci ha cambiato la vita. Ma, a volte, attraverso il suo utilizzo – o non utilizzo – anche contro gli altri, sfuggendo a quel senso di comunità che ci aveva pervasi a inizio marzo.

Ieri, sui social, a tutti sarà capitato d’imbattersi nel video delle due signore sul lungomare di Salerno aggredite dalla folla urlante perché non indossavano le mascherine. E a tutti, più o meno, sarà anche capitato – naturalmente – di schierarsi da una parte o dall’altra.

“Assassini” – è il grido che si leva da una folla che brandisce i forconi contro gli untori 2.0. E le forze dell’ordine che, di fronte ad episodi del genere, si mostrano sempre più “forzute” e poco “arbitri” pacifici sono la dimostrazione piena di come tutte le logiche di matrice democratica che costituiscono la nostra società potrebbero essere rovesciate e soppiantate in condizioni di straordinaria follia, da un momento all’altro.

D’altra parte, quello di indossare la mascherina e di mantenere una distanza di sicurezza non è un obbligo di regime ma piuttosto un atto di responsabilità sociale e morale che tutti dovrebbero rispettare, anche per evitare reazioni del genere in un contesto in cui le percezioni e gli stati d’animo non possono che essere dilatati ed accentuati dall’emergenza.

Tuttavia, prevedo e temo che episodi come quelli di ieri a Salerno saranno molto comuni nelle settimane e nei mesi a venire che scandiranno questa sconosciuta e a tratti spaventosa fase 2.

Eppure, ciò che serve è solo un po’ di buonsenso. Niente di straordinario. Ma invece di apprezzare che – dopo mesi di straordinarietà – ciò che basta per ricominciare a vivere le nostre vite sia qualcosa di estremamente ordinario, l’essere umano tende – spesso – a cercare, volontariamente oppure no, quella strada di irragionevole irresponsabilità e a percorrerla con evidente incapacità ad argomentarne la scelta.

Riproduzione riservata ©