Tanto attesa, tanto agognata. Ecco che è arrivata, nel pomeriggio di ieri 22 aprile, l’ordinanza 37 della Regione Campania, firmata dal Governatore Vincenzo De Luca, per la ripartenza delle attività commerciali tra cui pizzerie, pasticcerie, ristoranti e bar. Per cominciare, a partire da lunedì 27 aprile, sarà possibile effettuare soltanto un servizio di consegna a domicilio e in orari prestabiliti.
Nell’ordinanza si legge che “sono consentite le attività e i servizi di ristorazione – fra cui pub, bar, gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie e pasticcerie – esclusivamente, quanto ai bar e alla pasticcerie, dalle 7 alle 14, gli altri esclusivamente dalle 16 alle 22, per tutti con la sola modalità di prenotazione telefonica ovvero on line e consegna a domicilio e nel rispetto delle norme igienico-sanitarie nelle diverse fasi di produzione, confezionamento, trasporto e consegna dei cibi”.
E De Luca la spiega così: “Si tratta di un primo passo e di un primo segno di rilancio delle attività economiche secondo una linea di responsabilità e di prudenza, che richiede da parte di tutti il rispetto rigoroso delle regole di tutela della propria e dell’altrui incolumità. Il provvedimento è articolato in maniera da diluire la mobilità nel corso della giornata ed evitare assembramenti. Sarà fondamentale rispettare tutti i dispositivi di sicurezza, pena sanzioni severe a carico degli inadempienti. Occorrerà utilizzare i prossimi giorni per sviluppare tutte le operazioni di sanificazione e igienizzazione dei locali, in qualche caso chiusi da molte settimane, per sottoporsi a visite mediche e per preparare tutte le certificazioni necessarie dal punto di vista sanitario”.
Ma cosa ne pensano gli imprenditori salernitani? La situazione tra i proprietari delle attività salernitane non è proprio delle più idilliache perché, a quanto pare, le regole legate al provvedimento regionale appaiono molto farraginose e complesse, forse troppo per poterle seguire e mettere in atto senza prevedere una ingente perdita economica. Dispositivi e indumenti di sicurezza, formazione, sanificazione e igienizzazione dei locali, visite mediche e certificazioni varie rappresentano il motivo per cui molti imprenditori hanno preferito aspettare comunque il 4 maggio.
Francesco Capece, proprietario della Locanda dei Feudi, l’amatissima pizzeria salernitana ha espresso il suo dissenso in un lungo e chiaro post su Facebook:
“Tanto atteso, Il Delivery. A mio avviso, il lavoro che svolgeranno i miei colleghi che non hanno mai offerto questo tipo di servizio, non riuscirà a soddisfare l’emozioni precedentemente suscitate ai clienti presso i propri locali. Non riuscirà a sostenere i costi fissi, perché nati su business plan adatti alle loro strutture per capienza ed altri fattori. Dovranno creare una proposta renumerativamente valida per le città dove sono situati. Dovranno sostenere i costi dell’azienda che gli gestisce il servizio delivery (Da valutare la sensibilità dei clienti che prima di scegliere voi, dovranno scegliere la piattaforma su cui acquistare, e di conseguenza selezionarvi tra altre 1000 attività.), oltre il 20 % sul lordo, un’altra IVA. In alternativa gestire il servizio internamente, assumendo dipendenti adatti per questo lavoro e utilizzando veicoli propri (Altri Costi, ma nota positiva e che i clienti vi hanno selezionati direttamente, non tra altri 1000). Il delivery era un modello di business al quale ci siamo voluti rifare già anni fa, quando la crisi mise in cattive acque tutti i commercianti operanti nel nostro settore, ma in un paese come l’Italia non potrà mai avere lo stesso spazio come nel resto del mondo, data la cultura e la sensibilità che abbiamo verso il cibo. Tutti sanno che una pizza a casa non è come una pizza al tavolo né per bontà, né per attimo vissuto. Con tutto questo non voglio rinnegare le mie origini, perché ho imparato a fare il pizzaiolo facendo pizze d’asporto.
Il delivery era in netta crescita anche prima del covid 19, in città come Milano, come Roma, ma credo che solo in città così possa funzionare alla grande, per tantissimi motivi.
Non di certo sarà il futuro della ristorazione, o quanto meno della ristorazione italiana perché una cosa simile non potrà sostituire il momento in cui una persona vuole ristorare, vuole provare delle emozioni. Credo che nel futuro della ristorazione non ci sia spazio più per l’improvvisazione e che dovremmo reinventarci un modo per accogliere al meglio le persone a casa nostra”.
Armando Pistolese, proprietario di Tozzabancone e segretario dell’Associazione Commercianti per Salerno – che parteciperà al flash mob di protesta del prossimo 28 aprile – ci informa che “la maggior parte dei commercianti che aderiscono all’associazione non aprirà. Siamo di fronte a un lasso di tempo (dal 27 aprile al 3 maggio, con 1 giorno di chiusura) troppo breve per affrontare sanificazione, acquisizione di materiale idoneo al trasporto, formazione del personale e altre cose. Dal punto di vista economico non è vantaggioso. Noi abbiamo consigliato agli associati di non aprire, ovviamente ognuno è libero di fare ciò che vuole. Dopo il 3 si vedrà, ma anche per quanto riguarda la fase 2 siamo perplessi”.
Emanuele Rizzo, proprietario della Cantina Rebelde, a Pastena, è uno dei tanti che parteciperà alla manifestazione di protesta nazionale dei ristoratori. “Per quanto riguarda il delivery – spiega – in Campania siamo già partiti con un mese e mezzo di ritardo. Si tratta, a mio avviso, di un’ordinanza estremamente limitante perché vengono poste delle fasce orarie. E quante consegne posso effettuare fino alle 22? Pochissime, naturalmente. Intanto però accendere tutto al locale costa caro. Al nostro settore viene chiesto di rispettare regole stringenti che nessun’altro deve rispettare, ci mettono nella condizione di non aprire. Il minimo che avrebbero dovuto fare è consentire le consegne senza fasce orarie”.
C’è poi chi aveva sperato, dopo mesi di stop, di ricominciare a camminare sulle proprie gambe, cercando nel delivery un modo per ripartire e adattando la propria attività, almeno temporaneamente.
Vincenzo Masullo è il proprietario dell’Osteria Numero 4 che, prima dell’arrivo del Covid e, quindi, del lockdown era in procinto di inserire, tra i suoi servizi, anche la pizzeria.
“Avevamo pensato di ripartire – dice Vincenzo – ripensandoci, almeno per i primi tempi, come un’attività che fa consegne a domicilio. Mi stavo informando per tutto il necessario a svolgere questo servizio nelle regole di sicurezza e nel rispetto delle autorizzazioni. Considerando la nuova ordinanza, dal punto di vista economico non ne vale la pena. I tempi sono troppo stretti per organizzarci. E se pensiamo a una possibile ripartenza, dopo il 4 maggio, ciò che mi spaventa è l’obbligo di dover portare mascherina, guanti e copri scarpe. Andare al ristorante è un piacere e rappresenta un’attività di svago, un’occasione per essere coccolati dall’oste. in questo modo, è molto difficile pensarla così”.
Ancora, Antonio De Martino proprietario del ristorante Deposito, a Pontecagnano, la pensa così: “Parlo anche a nome del mio socio, Alberico. Per noi questa apertura del 27 non ha alcun senso. Ogni attività ha un suo format, noi non rientriamo in questo format. Il delivery lo si fa quando la macchina già va in quella direzione. Oggi la cosa positiva è semplicemente una: andrà avanti chi realmente fa il ristoratore, chi dice che bisogna aprire non ha mai fatto ristorazione. I locali si devono adattare, reinventare e creare nuove formule”.
Se la maggior parte dei ristoratori campani non è d’accordo con la nuova ordinanza, c’è, invece, chi ha un’altra idea sulla ripartenza. “Come si dice? In qualche modo bisogna pur cominciare – dice Pasquale Villano, proprietario della pizzeria Villano, a Roccapiemonte – Non c’è assolutamente certezza ovviamente nelle misure prese ma in questi casi o si sta ad aspettare che finisca il tutto con la conseguenza di rimanere altro tempo chiusi in casa oppure si fa quel che si può…cioè disinfettare i locali con ditte certificate che usano prodotti adatti al problema rilasciando scheda tecnica degli stessi, munirsi di contenitori termici per il trasporto a domicilio, utilizzare mascherine, guanti, sovra scarpe, camici, gel igienizzante e se un lavoratore ha una temperatura pari o superiore a 37.5 si deve obbligatoriamente chiudere l’attività. Personalmente va bene tutto ma fondamentalmente il lavoro è stato bloccato per 2 mesi e chissà quando si ripartirà veramente, ma il resto non si è fermato quindi ci aspettiamo che chi di dovere faccia in modo che come hanno fermato subito tutto facciano ripartire tutto”.
Insomma, la situazione rimane tesa, ma la voglia di ripartire è forte e preponderante. Ciò che si chiede, ovviamente, è di farlo nel migliore dei modi per tutti, evitando di rimanere schiacciati economicamente da provvedimenti poco sostenibili dagli imprenditori.
Il prossimo 28 aprile, si terrà la manifestazione – protesta “Risorgiamo Italia”.
“Mercoledì 28 aprile 2020, da nord a sud, da est a ovest, torneremo ad illuminare le strade ed i vicoli delle nostre città con l’energia positiva sprigionata dai nostri locali – si legge all’interno dell’evento Facebook – Vogliamo esprimere la con un gesto simbolico la nostra volontà di tornare in piena attività. Produrre, generare occupazione e regalare emozioni sono le nostre vocazioni, assicurare un contributo produttivo al sistema paese, la nostra missione. Dalle vetrine e su i prospetti di ogni locale sarà visibile un cartello di unione ed esortazione #risorgiamoitalia. Ognuno manifesterà la propria protesta con foto, video messaggi ed atti dimostrativi al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica alle ragioni della nostra causa comune. Il nostro rammarico è che tutto ciò potrebbe accadere per l’ultima volta”.
E ancora: “Le nostre attività sono state chiuse per decreto, i ricavi sono stati azzerati, siamo stati privati del nostro lavoro e delle libertà. Consapevoli del dramma sanitario che si stava abbattendo sul paese, abbiamo accettato questi enormi sacrifici di buon grado. Oggi, con una sola voce, vogliamo manifestare in migliaia la delusione di chi è stato lasciato solo con le proprie spese, i dipendenti, gli impegni economici pregressi e le incertezze future. A fronte della nostra grande disponibilità, l’azione del governo fino ad oggi si è dimostrata tardiva ed insufficiente. Ci è stata premessa liquidità e non ci sono arrivate neanche le dovute garanzie. Quando si parla di fase due o fase tre, vengono contemplati parametri insostenibili, distanze incolmabili con una riduzione del 70% dei coperti disponibili e tutte le responsabilità a carico dei gestori. Aprire con il 30/40% dei ricavi ed il 100% dei costi. Per i locali di pubblico spettacolo la data della riapertura non è nemmeno all’orizzonte. Questo è un gioco al massacro cui non vogliamo partecipare. Senza le dovute garanzie non riapriremo!“