Si chiama “pandemia” perché ha inondato tutto il mondo, o quasi. Insomma, si tratta di un’emergenza mondiale. Eppure, non tutte le nazioni si stanno comportando allo stesso modo di fronte all’emergenza da Coronavirus. Sì, perché mentre in Italia i decreti di Governo c’impongono di rimanere in casa e di uscire solo per lavoro, per la spesa o per emergenze mediche – e menomale! Ché altrimenti la situazione peggiorerebbe all’infinito – il Regno Unito, ad esempio, ha deciso di affrontare la crisi maturando l’immunità di massa. “Ci dispiace per i cari che perderete” ha detto Boris Johnson in soldoni, ma il Governo non prevede e non prevederà nessun decreto, nessun obbligo, nessuna misura precauzionale. In Francia, invece, fino alla settimana scorsa si scendeva in strada, travestiti da Puffi, a “puffare via il virus”. Ma l’attenzione, ora, ricade sulla Germania – fredda e impavida Germania – che si stabilizza su un’antipatica via di mezzo. E si sa, la non chiarezza non è mai una buona strategia. Lo abbiamo sperimentato, all’inizio, sulla nostra pelle e le tendenze comportamentali delle persone hanno faticato a piegarsi a nuove informazioni, nuovi allarmi.
La Germania ospita moltissimi connazionali. Tra i tanti, Wanda una giovane studentessa salernitana, partita in Erasmus Traineeship per Berlino lo scorso gennaio, che sta vivendo questo momento complesso in bilico tra ansia e voglia di capire realmente lo stato dell’emergenza anche nella città tedesca.
“Fino a ieri sono andata a lavoro in metro – racconta Wanda – ma da oggi ho deciso di lavorare da casa. Il mio capo non era molto d’accordo quando gliel’ho detto qualche giorno fa, ma io preferisco così. Nella metro siamo tanti e le norme di sicurezza non vengono rispettate, anche a lavoro sediamo uno vicino all’altro in un ufficio poco spazioso. Ho preso una bicicletta e vado a fare la spesa senza prendere mezzi pubblici, per il resto esco il meno possibile”.
Si fa finta di niente, insomma. Questa è la sensazione di chi riceve continuamente notizie dall’Italia e, invece, non riesce ad informarsi bene sul paese in cui si trova. Si vive in una situazione di ambiguità. Wanda è a Berlino col suo ragazzo, Rolando. Lei studentessa di lingue a Napoli che a Berlino lavora in una scuola di lingue, lui musicista e studente al Conservatorio.
Da oggi la scuola dove lavora ha chiuso al pubblico. E Wanda e gli altri lavorano da casa, anche se lei aveva già deciso di farlo qualche giorno fa. E da oggi sono chiusi anche i bar, le scuole, gli asili e le università. I bambini, però, giocano allegramente nei parchi, tutti insieme. I ristoranti continuano a rimanere aperti, mantenendo un metro di distanza tra i tavoli.
“C’è molto senso civico – continua Wanda – nel senso che le persone, pur senza un obbligo ufficiale tendono ad uscire poco e a mantenere le distanze. Questo mi rassicura. Anche se, parallelamente ci sono tante persone che se ne fregano. Una mia amica ha spostato la sua festa di compleanno al parco, piuttosto che farla a casa”.
Berlino è una città molto grande, non è organizzata in vicoletti come Salerno, ad esempio, per cui, pur volendo, è difficile creare assembramenti per le strade, a meno che non si tratti di locali pubblici, uffici o abitazioni, chiaramente.
Quella che rimane poco chiara è la situazione legata ai tamponi. “Sono risultate positive al Coronavirus – spiega la giovane studentessa – la professoressa della mia coinquilina e una collega dell’altra mia coinquilina”. Ma la classe della ragazza la cui professoressa ha contratto il Covid-19 non è stata messa in quarantena né controllata attraverso tamponi o altre misure.
Insomma, soltanto chi si ammala viene messo sotto osservazione, ma la filiera di contatti con cui ha avuto a che fare no. Almeno fino a che non compaiano i primi sintomi. E se qualcuno vuole sottoporsi ad un tampone può farlo a pagamento. Secondo Wanda, sono “strani” i numeri della Germania. Rispetto alla Spagna, ad esempio, conta pochi casi in meno di contagi. Ma il numero dei morti è a dir poco impressionante per quanto sia basso. 22 vittime a fronte di 8 mila contagi.
Il fatto è che l’accesso al test del tampone non è così semplice. Gli anziani che muoiono con febbre e complicazioni respiratorie non vengono sottoposti al tampone post mortem, per cui le loro morti non figurano nelle statistiche complessive.
Wanda ha deciso di rimanere a Berlino e di dedicarsi alla scrittura della sua tesi di laurea, che probabilmente avverrà online. Dovrebbe, quindi, tornare in Italia per aprile. “I voli non ci sono – ci racconta – e quelli che ci sono costano tantissimo e non sono diretti per cui il rischio del contagio è alto. Penso sia più sicuro rimanere qui”.
Se dovesse tornare in Italia, ovviamente, si sottoporrebbe ad un periodo di quarantena di 15 giorni, nonostante non presenti sintomi.