La Salerno calcistica si appresta a fare il suo ingresso nei grandi misteri della storia universale. Accanto ai bambini verdi di woolpit e al manoscritto di Voynich, sta guadagnando ampio spazio lo stupore dettato dall’ormai quasi certa riconferma di Angelo Mariano Fabiani nel ruolo di direttore sportivo della Salernitana. In un calcio sempre più distratto e pronto a ridurre in brandelli i meriti conseguiti sul campo, l’ennesima fiducia concessa dal patron Lotito all’operatore di mercato laziale sembra quasi rientrare nella norma. Tuttavia, esistono evidenze oggettive che si fanno beffa anche della più incallita superficialità gestionale. Perché i quattro fallimenti tecnici che hanno caratterizzato le ultime quattro stagioni cadette pianificate dall’ex sodale di Luciano Moggi rappresentano ormai certezze intoccabili e archiviate mestamente nella secolare storia del club granata. Nulla, nemmeno la fantasia più estrosa, può modellarle fino a rivestirle di una parvenza di positività. La narrazione è impietosa: due salvezze, soffertissime, raggiunte dopo tribolati spareggi play out, alle quali vanno sommati due tornei oscillanti tra la noia e il desiderio della tifoseria granata di fuggire dai gradoni dell’impianto di via Allende. Di questo rendimento estremamente insoddisfacente è consapevole la stessa proprietà, la quale, però, puntualmente decide di riconsegnare al ds Fabiani le redini della nuova programmazione tecnica. Ed è in questa ostinata ripetitività, intrisa di una cecità gestionale che sfocia nell’autolesionismo pallonaro, a nascondersi il mistero insondabile che governa l’agire della coppia Lotito-Mezzaroma. Enigma che diventa ancora più fitto se accostato alle dichiarazioni, spesso severe, rilasciate dall’imperatore Claudio sull’operato dell’ex direttore sportivo di Messina ed Ascoli. Parole ascoltate nitidamente nel corso di conferenze stampe successive alle conclusioni delle sessioni invernali di calciomercato. Perplessità e punzecchiature che hanno recitato da protagoniste anche nel dopo partita della recente odissea in terra veneta che ha regalato la salvezza a Di Tacchio e compagni. Monologhi lotitiani, senza filtro e a briglia sciolta, ascoltati in loco da un Fabiani impegnato a mostrarsi distratto mentre il presidente assestava dolorosissime scudisciate dialettiche. E allora, alla luce di tutto questo, il tifoso mediamente attento non può fare a meno di porsi alcuni banali interrogativi.
Partendo dall’analisi del profluvio parolaio del proprietario di Lazio e Salernitana, una domanda sorge spontanea: per quale motivo i co-patron Lotito e Mezzaroma, verificata da anni l’impossibilità di emergere dalla mediocrità calcistica e di competere per la serie A (obiettivo che, a parole, rientrerebbe tra i loro piani), continuano ad affidarsi a un operatore di mercato, Fabiani, che ha saputo costruire soltanto squadre capaci di agguantare in extremis un paio di inquietanti salvezze oppure, nella migliore delle ipotesi, offrire uno spettacolo calcistico che, soporifero come pochi, ha fatto calare la vendita di Roipnol nelle farmacie cittadine? La credibilità dei protagonisti di un qualsiasi contesto dell’esperienza umana si consolida quando le parole e le azioni viaggiano insieme coerentemente. Pertanto, fin quando la dirigenza granata non si esprimerà compiutamente su questo scoordinato procedere tra il dire e il fare, la cui evidenza è ormai radicata nella corposa fetta di cittadinanza interessata alle sorti della squadra di calcio, la sensazione di assistere a una rappresentazione dell’assurdo del commediografo Ionesco continuerà a farla da padrona. Dalle forche caudine della logica non si scappa: Fabiani è in grado di traghettare la Salernitana in massima serie – ma in questo caso non si spiegherebbero le continue frecciatine indirizzate da Lotito al suo operato – oppure è considerato la figura ideale per garantire un tranquillo galleggiamento in serie B?
Quesiti che, ovviamente, andrebbero rivolti allo stesso Fabiani, orientati a reperire una motivazione quasi umanistica sulla continuazione della sua esperienza professionale a Salerno. Infatti, sarebbe davvero interessante capire cosa spinga un uomo – al netto di facili conclusioni legate all’aspetto economico – a perseverare in una missione connotata dalla totale sfiducia e dalla crescente ostilità della tifoseria, tralasciando la consapevolezza di aver prodotto pessimi risultati nell’ultimo quadriennio.
In attesa delle necessarie risposte a questi semplici quesiti, il teatro dell’assurdo di Ionesco potrebbe essere arricchito da un nuovo capitolo: la sorte futura di Leonardo Menichini, unico allenatore realmente vincente dell’era Lotito. Il tempo passa, ma l’ufficiosità della sua conferma tarda a tramutarsi in un’ufficialità che dia finalmente il via alla nuova stagione calcistica granata. La società deciderà di proseguire il suo rapporto con il tecnico di Ponsacco, oppure è impegnata a sondare soluzioni tecniche alternative? Il management ha già deciso di non rinnovare la fiducia a un allenatore amato dalla piazza, ma ancora non sa come motivare l’ennesima rinuncia a un tecnico pragmatico e vincente? Lotito, Mezzaroma e Fabiani stanno volgendo lo sguardo altrove, e nel frattempo attendono che Menichini decida di andar via rinunciando al contratto scattato automaticamente dopo il raggiungimento della salvezza? Dubbi legittimi che il recente incontro con la stampa non ha provveduto a fugare.