Le strade che portano ai traguardi più importanti, spesso non sono quelle lineari, ma quelle piene di ostacoli, di deviazioni. Come dimostra la storia di Antonio Lanzetta, autore salernitano, classe ’81.
Che sarebbe diventato autore lo ha sempre saputo. Quantomeno, ci ha sempre sperato. La sua passione per i libri è nata fin dai tempi del liceo ed è cresciuta con lui. Fin quando non è diventata un vero e proprio lavoro. Il suo cammino (letterario) ha avuto inizio nel lontano – ma non troppo – 2012. Ma è stato il 2015 – tre anni, tre romanzi e tre racconti brevi dopo – l’anno della svolta. L’anno del cambio di rotta da fantasy a thriller che gli ha permesso di raggiungere i traguardi più importanti della sua carriera (fino ad oggi). Basti pensare che “Il Buio Dentro” (che ha valicato i confini nazionali dopo essere stato tradotto da Bragalonne, una delle più prestigiose case editrici d’oltralpe) è stato citato dal Sunday Times come uno dei cinque thriller non inglesi migliori del 2017.
L’ultimo suo grande successo – in ordine cronologico – “Le Colpe della Notte”, è stato pubblicato nel 2019 e chiude la trilogia iniziata con “Il Buio Dentro” e “I Figli del Male”. Di questo e di molto altro Antonio Lanzetta ci ha parlato in questa piacevole intervista.
Nel 2019 è uscito “Le Colpe della notte”. Insieme ai primi due “Il Buio Dentro” e “I Figli del Male” può considerarsi un po’ – sebbene siano tre romanzi distinti – un’unica grande storia?
Sì, Le Colpe della Notte, sebbene possa essere letto in modo indipendente, chiude il cerchio narrativo aperto nel 2016 da Il Buio Dentro. Tre storie che si intrecciano tra passato e presente in un unico grande racconto.
Qui viene raccontato un mondo (quello del protagonista Cristian) in cui vigono amicizie virtuali, contatti via chat. Ciò che è reale viene sostituito dal virtuale. È un po’ il mondo in cui viviamo oggi. Che rapporto hai tu con internet, i social?
Internet è entrato di prepotenza nelle nostre vite, stabilendo che – per non sentirci soli – dobbiamo essere parte di questa grande connessione neurale, una Matrix in cui ci scambiamo posizioni, fotografie, emozioni, ricordi. Personalmente credo che i social siano un Male del quale non si può fare a meno. Devono essere usati, perché a oggi lo strumento più semplice ed efficace di raggiungere le persone, di far conoscere chi sei (in qualsiasi ambito produttivo/creativo). Allo stesso tempo però si deve lottare per conservare umanità, indipendenza, per non farsi piegare alle regole della Rete.
Nel romanzo viene raccontato un rapporto “conflittuale” padre – figlio, una tematica abbastanza delicata ed altrettanto realistica. Quando scrivi parti dalle storie personali dei singoli personaggi, oppure hai già in mente una trama e poi da questa sviluppi le caratteristiche di ciascuno?
Solitamente parto dai personaggi. Ho un’idea di fondo, mi chiedo chi sono e cosa desiderano, poi butto giù una scaletta e cerco di svilupparla per esteso, come la trama sintetica di un film. Solo dopo tutto ciò inizio veramente a scrivere. Devo avere una traccia su cui muovermi.
Quando si parla di romanzi rosa, come anche di canzoni, ci si ispira in genere al mondo circostante. Quando si parla di thriller, dove si trova l’ispirazione? Come si entra nella mente di un serial killer?
Ogni storia, a prescindere dal genere in cui sia catalogata dai librai, deve attingere alla realtà affinché voglia definirsi reale, credibile. Non si può pretendere di creare un mondo senza vivere la quotidianità, senza osservare e conoscere le persone, senza sporcarsi le mani.
Hai mai pensato alla possibilità che i tuoi libri diventassero film? (Se sì) è un’idea che ti piace?
Quando iniziai a scrivere non immaginavo che sarei mai stato pubblicato. Dopo la pubblicazione mi sorpresi che poco alla volta, di anno in anno, iniziavo ad avere un mio seguito. Poi è arrivata la traduzione all’estero e mi sono ritrovato a viaggiare per conoscere lettori stranieri. Se un giorno, fra otto miliardi di anni, dovesse mai capitare che qualcosa scritta da me abbia una trasposizione cinematografica… Be’, credo che non potrei non essere felice. Mi vedrebbero girare in mutande in bicicletta per Salerno a gennaio come quel tizio che viene da Avellino… adesso non ricordo il suo nome ma ci siamo capiti!
Come ti sei avvicinato alla scrittura? C’è stato un momento in cui hai capito di voler diventare un autore?
Da ragazzino, al liceo. Leggevo i miei autori preferiti e volevo emularli.
Nel percorso che ti ha condotto fino a qui oggi, hai trovato qualche ostacolo?
Tutti i giorni trovo ostacoli. Sempre. La vita è una gran rottura di cazzo ma vale la pena di essere vissuta.
Secondo te quali sono le maggiori difficoltà che incontra un autore oggi? Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole avvicinarsi al mondo della scrittura oggi?
Purtroppo il mestiere dello scrittore, al pari di altri nel campo artistico, è infinitamente complesso. Oltre a una piccola dose di talento, è necessario studiare, impegnarsi, avere autocritica, essere realisti e sognatori allo stesso tempo. Saper cadere e poi rialzarsi. Guardare le cose dall’esterno. Non esiste però nessun consiglio migliore di questo: leggere sempre e comunque. Non si può assolutamente immaginare di poter un giorno avere a che fare con le parole se poi non si divorano romanzi come se non ci fosse un domani. Se non leggi, non puoi scrivere. Semplice.
Cosa ne pensi della situazione culturale di Salerno oggi?
C’è fermento ma manca, forse, un’unione di intenti. La sinergia che permette di mettere insieme realtà diverse e creare qualcosa di epico, qualcosa che renda l’intera comunità partecipe, che crei aggregazione positiva.