Si gode gli ultimi scampoli di sole nella “sua” Salerno, prima di mettere nel mirino il prossimo match, il primo assoluto per lui nel Belpaese, che potrebbe valere il titolo di campione italiano. Dario Socci, 31enne pugile orgogliosamente legato alle sue origini, nonostante una vita da vagabondo in giro per il mondo, (Londra, New York, Messico, Giappone, solo alcune delle sue tappe), non perde occasione per tornare nella città che gli ha donato i natali. Quella dove ha mosso i primi passi nel mondo a 15 anni, e dove viene affettuosamente “disturbato” dai tanti amici che lo fermano per strappare un commento sull’ultimo match, che metteva in palio il titolo europeo IBF della categoria superwelter, perso contro l’imbattuto Troy Williamson al termine di un incontro duro, dal quale nonostante la sconfitta è uscito a testa alta. Soprattutto considerando il salto di una categoria e l’invito arrivato pochi giorni prima. Ora è già tempo però di pensare alla prossima sfida…
Partiamo dal prossimo incontro…
“Sì, c’è in palio il titolo italiano pesi welter, nel match in programma il prossimo 15 marzo contro Tobia Giuseppe Loriga. Confido molto in questo match, a parte qualche problemino fisico sono pronto per entrare nel vivo della preparazione. A breve partirò per Singapore e Bali, dove inizierò a lavorare per l’incontro che si terrà a Chiari, in provincia di Brescia. Sarà il mio primo match in Italia”.
Per quanto riguarda i tuoi inizi, invece, come ti sei avvicinato a questo sport?
“Sono andato via a 15 anni di casa, e all’ora era l’unico sport che non richiedeva un esborso di soldi, quindi è stata un’occasione un po’ fortunata per me. Non avevo molte possibilità, così ho iniziato ad allenarmi alla palestra del Centro Sociale, penso che sia stata una grande scuola. Non dico che avevo una vita difficile, però sicuramente mi ha aiutato a incanalare la rabbia nei giusti binari, la boxe in fondo è anche questo. Non è un mistero che oggi molti pratichino questa disciplina anche solo per sfogare la propria rabbia o il proprio stress, ma in fondo il valore della boxe è anche quello di togliere tanti ragazzini dalla strada, come è successo anche a me, una vera funzione sociale”.
Quando hai capito che ne avresti potuto fare un lavoro?
“Non mi sento mai arrivato, anche oggi che sono diventato un professionista. Penso che in fondo la chiave sia stata proprio quella, non avere mai mollato, averne fatto una ragione di vita. Sono onesto, rispetto alla media ho iniziato piuttosto tardi, in altri paesi all’età in cui ho indossato per la prima volta i guantoni molti ragazzi sono già professionisti, e poi non è che avessi tutto questo talento di base. Semplicemente ci ho messo e ci metto ancora tutto me stesso. Anche lo stile di vita è molto importante, non ho mai fatto nemmeno un tiro di sigaretta, così come con l’alcool. Anche l’alimentazione e uno stile di vita sano in generale sono fondamentali nel nostro mondo, non è che puoi andare in panchina se non sei in forma, come nel calcio. Poi ho avuto la fortuna di essere allenato da professionisti del calibro di Aaron Davis e Alejandro González Junior “cobrita”.
A proposito di calcio, spesso sul ring esibisci una bandiera granata targata “SA”…
“Sì, ma non è prettamente calcistica la mia fede, è un discorso di attaccamento alla mia città in generale. Ovviamente sono felice se la Salernitana vince e sono un grande tifoso dello sport salernitano in generale, ma ci tengo a portare i colori di Salerno sul ring, ormai da tempo il mio ingresso è accompagnato da una canzone di Morfuco, rapper salernitano che mi ha concesso l’utilizzo di questo brano che ancora deve uscire. Sono molto legato a questa città, non perdo occasione per tornare, le mie vacanze sono sempre programmate a Salerno. Vivendo fuori non è semplice, ma rispetto al Messico o all’America ora da Londra è molto più semplice tornare a casa, anche per pochi giorni. In passato sono stato costretto a stare lontano tanto tempo”.
Speri che un domani Salerno tiri fuori il nuovo Dario Socci?
“Qui la tradizione pugilistica non è molto diffusa, io per iniziare la mia carriera mi sono dovuto trasferire necessariamente all’estero, Germania, Londra, New York. Però sono convinto che la Pugilistica Salernitana, che si allena al Vestuti, stia facendo cose molto interessanti, in particolare grazie al lavoro di Emilio Desiderio, sono convinto che presto sentiremo parlare di qualche ragazzo uscito da quella palestra. Quando sono qui, mi alleno anche io lì”.
Un domani sogni di allenare qualche giovane talento?
“No, assolutamente. Penso che mi piacerebbe aprire una palestra, o quantomeno vorrei rimanere in questo mondo, nel quale sono entrato a 15 anni, non so fare altro (ride). Però non sopporterei il fatto di allenare qualche ragazzo che non ci mette lo stesso impegno che ho messo io negli anni. Anche con i tempi di oggi, i rischi sono alti, e i sacrifici sono sempre più difficili da compiere”.
Pugile preferito?
“Non posso fare un solo nome, ne cito tre, anche se sono consapevole di lasciare qualche mostro sacro fuori dalla lista. Per primo dico Andre Ward, un’intelligenza fuori dal comune. Poi proseguo con Floy Mayweather, non ha mai perso un incontro, c’è poco altro da aggiungere. Infine chiudo con Saúl Álvarez, el canelo”.
A cosa devi il tuo soprannome “The Italian Trouble”?
“Me l’ha messo uno dei miei primi manager, diciamo che qualche problemino gliel’ho creato, ecco da dove nasce. Nulla di serio, solo qualche bravata, ma lo dico sempre, noi pugili, me in primis, non dobbiamo starci tanto con la testa (sorride). L’ho fatto disperare già qualche giorno dopo aver firmato il contratto, una delle clausole più importanti era quella che mi vietava di andare in moto, peccato che io l’avevo appena comprata…”