A dieci anni dalla morte di Francesco Mastrogiovanni, il maestro deceduto presso il reparto di psichiatria di Vallo della Lucania, parla uno degli infermieri che lo teneva in cura. Si tratta di Nicola Oricchio, oggi in pensione, che ha confermato le barbarie commesse durante il ricovero tramite una lettera destinata alla sorella Caterina Mastrogiovanni.
Il maestro di Castelunuovo, in seguito ad un ricovero per TSO, moriva dopo 82 ore di atroce contenzione, digiuno, legato mani e piedi a un letto senza ricevere alcuna assistenza dal personale autorizzato.“Abbiamo commesso una barbarie, non abbiamo capito la richiesta di aiuto di Franco strappandolo al vostro affetto. Vi esprimo la mia vicinanza”. Ammette Oricchio nella lunga lettera pubblicata dal “Mattino”.
Durante il processo del 2018, la Cassazione confermava le condanne ai sei medici e agli undici infermieri per il sequestro di persona, con i medici condannati anche per falso ideologico. Ancora l’infermiere, denuncia il modo in cui si opera nella maggior parte dei reparti di psichiatria, facendo riferimento a quanto successo nei giorni del calvario di Mastrogiovanni.
“Francesco è morto invano perché ancora oggi nei reparti di psichiatria degli ospedali italiani, gli utenti ricoverati in trattamento sanitario obbligatorio continuano a morire a causa della contenzione meccanica. Rivedo le immagini fissate nella mia mente della interminabile tortura di Francesco, perché di questo si è trattato, e non di un trattamento assimilabile alla tortura e di questo mi scuso con voi. Durante quei giorni noi mettemmo in atto una barbarie che durò dalle ore 12.30 del 31 maggio fino al 4 agosto durante la quale furono commessi una catena di errori ed una serie ininterrotta di reati gravissimi nei quali prevalsero l’inerzia, la sciatteria e il lassismo. Fu sconfitta l’umanità della parola rinunciando al compito di una psichiatria umana e civile. Così concorremmo ad uccidere Mastrogiovanni ed io mi ritrovai ad essere un omicida“.