La geografia del governo segna in maniera inequivocabile il cambio di scenario. La nomina a ministro del Mezzogiorno del vicedirettore dell’Istituto Svimez è una chiara indicazione del ribaltone nel ribaltone: l’esecutivo, almeno sulla carta, è a trazione meridionale. O forse soltanto meno a trazione settentrionale. È lo stesso premier Conte a garantire che non ci sarà una competizione interna al Paese, pur riportando il Mezzogiorno in una centralità tematica e politica dopo tempo immemore. Giuseppe Provenzano, specializzato alla scuola di eccellenza superiore Sant’Anna di Pisa, studioso del Mezzogiorno e vicedirettore Svimez, responsabile delle politiche sul lavoro del Pd e, da sempre, fiero oppositore dell’Autonomia differenziata, è la figura emblematica di uno spostamento baricentrico. Il ministro del Mezzogiorno si lega al recupero di molte posizioni: il passaggio degli Affari Regionali dalla leghista Erika Stefani, paladina dell’Autonomia differenziata, al pugliese dem Francesco Boccia, è l’altro grande boccone amaro che il Nord dovrà ingoiare. Il tandem Provenzano-Boccia è così destinato a lavorare per smorzare la deriva autonomista dello scorso governo. La misura che la Lega ha provato a imporre e che ora subirà pesanti modifiche, innanzitutto circoscrivendo l’azione agli spazi di autonomia che la Costituzione prevede, neutralizzando i tentativi muscolari di Veneto e Lombardia. Per molti osservatori si tratta del tramonto della linea del governatore del Veneto Luca Zaia, anche perché per la nuova compagine di governo non si potrà transigere sul principio di “coesione nazionale e di solidarietà”. L’Autonomia differenziata, che occupa il punto numero 20 del programma giallo-rosso, dovrà essere “giusta e cooperativa”, e “definirà i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i fabbisogni standard”. In antitesi alla linea dell’ex ministro Stefani, la nuova impostazione prevede “l’istituzione di un fondo di perequazione volto a garantire a tutti i cittadini la medesima qualità dei servizi”, oltre a coinvolgere il Parlamento “anche preventivamente e non soltanto nella fase legislativa finale di approvazione”. Un duro colpo inferto ai governatori del Nord, già insoddisfatti dal modello di Autonomia differenziata che il primo governo Conte era disposto a concedere.
Sono ben quattro i campani nel Conte-bis. A Costa e Di Maio si aggiungono Amendola e Spadafora, rispettivamente agli Affari Ue e allo Sport e Politiche Giovanili. Il Sud si aggiudica undici ministeri. Una premessa indispensabile per immettere nuove energie ed elaborare nuovi progetti per lo sviluppo del Mezzogiorno che puntino al potenziamento dei servizi collettivi e al contrasto alla disoccupazione, a nuovi fondi per l’imprenditoria giovanile (perché non incrementare il già efficace “Resto al Sud”?) e alla risoluzione delle innumerevoli vertenze sul tavolo del MiSe: Whirpool, Treofan, Jabil, solo per citarne alcune. E poi, politiche per dare nuova linfa alle zone interne, per riqualificare borghi e piccoli centri, arginare lo spopolamento. Una squadra di governo inclinata a Sud è chiamata a incentivare l’alta formazione e gli investimenti locali, a produrre interventi a favore del turismo locale e delle produzioni agroalimentari di qualità. E poi l’innovazione e le nuove tecnologie, opportunità in grado di moltiplicare il valore del patrimonio culturale e ambientale.