La città di Padova, da cui provengo, non si era ancora ripresa dalla perdita di Piero Angela, cittadino onorario, quando lo scorso 21 agosto è venuta a mancare la grande giurista Lorenza Carlassare, la prima donna a ricoprire la cattedra di diritto costituzionale. Era nata a Padova nel 1931; io sono stata fortunata a poterla conoscere, anche solo a distanza, durante la campagna referendaria 2016. Sia in quell’occasione che nel 2020 ci siamo schierate dalle parti opposte del voto ed entrambe le volte gli elettori hanno ragione a lei. Come biasimarli del resto, visto che io non ho la sua cultura e probabilmente non farò mai ragionamenti tanto acuti. Chi l’ha conosciuta ricorda con affetto il suo modo di toccare continuamente la collana che portava d’abitudine, mentre argomentava con intelligenza. La sua morte, che arriva solo quattro giorni dopo quella di un altro padovano, l’avvocato Niccolò Ghedini, mi spinge a una riflessione. Quando muore qualcuno considerato “giusto”, allora il rammarico viene facile, tutta la comunità si stringe attorno ai cari del defunto e, a parte qualche analfabeta funzionale, tutti sono uniti nel cordoglio. Ma cosa succede quando muore qualcuno di “moralmente ambiguo”? Sui social, oltre al cordoglio per la morte del dottor Ghedini, tra l’altro ancora giovane, qualcuno ha ricordato la sua attività per tirare fuori immancabilmente Berlusconi dai guai e il suo assenteismo da parlamentare. Naturalmente, chi ha ricordato questo è stato duramente attaccato. Queste polemiche, apparentemente sterili, hanno suscitato in me delle riflessioni sul nostro rapporto sulla fine della vita, qualcosa con cui abbiamo a che fare ogni giorno, soprattutto se siamo medici o becchini. Viviamo in una società dove la morte è vista come una cosa troppo seria, i defunti diventano sacri (tranne quando sono migranti in mare) e guai ad azzardarsi a dire che un morto non era “una brava persona che salutava sempre”. Non entro nel merito della vita di Ghedini, perché non do giudizi su persone, soprattutto sconosciute, ma mi faccio una domanda più generale: è giusto criticare i morti? A mio parere sì, sempre nei limiti del rispetto della persona. Perché, come chi ha visto la serie The Good Place (guardatela, sta su Netflix) sa benissimo, morire non ti lava automaticamente la coscienza. Se muore ad esempio una persona stronza, rimane stronza e qualcuno lo deve pur dire. Questa pratica di santificare i morti ha francamente stufato. Detto questo ogni morto è una perdita e va rispettato, ma rispetto e verità vanno a braccetto. C’è stato anche chi alla morte di Ghedini ha esultato, come se avessimo vinto i mondiali, in un atteggiamento vergognoso e ridicolo e io, che non ho sorriso nemmeno alla morte di Bin Laden, guardavo tutto basita. Saltiamo come grilli da un estremo all’altro, e la via di mezzo ormai non è più di moda.