Avvenimento inaspettato, notizia ad effetto, brutta storia, occasione di polemica, scandalo in mondovisione, base per battute: tutto questo è stato lo schiaffo della notte degli Oscar. Certo, l’Academy non sarebbe nuova ad inscenare farse per far parlare di sé, ma credere che anche questa volta ci sia stata premeditazione sarebbe irrispettoso verso una donna che sta convivendo con una patologia, certamente non grave, ma comunque disagevole. L’alopecia areata è una malattia autoimmune: il sistema immunitario riconosce come estraneo il bulbo pilifero e può provocare la caduta di una certa porzione di capelli; è una malattia che non tutti conoscono, sulla quale spesso non si è ben informati e che può portare un certo disagio ai pazienti, in particolar modo alle donne, che, solitamente, a differenza degli uomini, non sono soggette a questo tipo di problemi.
Siamo culturalmente portati a “tenere” ai capelli, le cui associazioni mitiche alla forza, all’energia vitale, alla fertilità, alla virilità, alla sessualità sono presenti in tutte le culture ed affondano le proprie radici nella notte dei tempi, in quell’ancestrale memoria storico-mitica comune a tutte le comunità umane. Ancora attingendo a questa base culturale, oltre che ad una differenza biologica tra il cuoio capelluto delle donne e quello degli uomini, facciamo della loro lunghezza (e della loro presenza) un attributo importante del dimorfismo sessuale: in altre parole, siamo abituati a concepire donne con i capelli lunghi (o comunque con i capelli) e uomini con i capelli corti. Per quanto ci sforziamo di apparire esseri di pura ragione, il nostro lato istintivo porta all’inconscia considerazione di questi sedimenti culturali. Lo dimostra il trauma psicologico dei malati sottoposti a terapie invasive che provocano la perdita dei peli, o, ancora, citando un esempio ardito (quasi indecente ed irrispettoso), ma calzante, la presenza del tema della rasatura come perdita d’identità e dignità nella letteratura concentrazionaria del secondo ‘900. È comprensibile, dunque, che la rimozione forzata dei capelli possa causare disagio, perché questi sono tra le componenti estetiche legate all’espressione della nostra sessualità e, più in generale, del nostro essere umani.
Nel nostro caso, abbiamo una donna che, con ogni probabilità, ha già dovuto fare i conti con una situazione di per sé sgradevole e che ora viene colpita proprio laddove è più debole da qualcuno che vorrebbe far ridere una platea. Ora, la morale della favola non è “Non ridere a spese di altri”, perché, così facendo, non si riderebbe mai: la commedia antica è nata proprio con personaggi stereotipati sì, ma tratti dal mondo reale; quindi, si rideva già di altri, abbiamo sempre riso a spese di qualcuno. Il punto, invece, è avere rispetto. E ciò non vale soltanto per chi ha partorito quella battuta, ma anche per tutti coloro che dell’evento hanno considerato solo la reazione (comunque da condannare) di un marito ferito, di riflesso, dal disagio della moglie.