In un calcio in cui a farla da padrona sono gli sceicchi, i magnati, le grandi multinazionali e i fondi di investimento che possono permettersi di sborsare cifre folli in barba a qualsivoglia principio della concorrenza e della sostenibilità del sistema, c’è ancora chi mette in atto la sua piccola, personalissima, strenua e intima resistenza.
Uno degli ultimi esponenti di questa corrente di irriducibili nostalgici è Walter Sabatini: un animo inquieto, come si è autodefinito, che parafrasando una citazione della scrittrice britannica Emily Jane Brontë sa quanto è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza di essa.
Walter è l’uomo del destino che, sbarcato a Salerno da poco più di due settimane, è già riuscito a ritagliarsi un posto speciale nella storia del Sodalizio di Via Allende e, soprattutto, nel cuore dei tifosi granata.
Il direttore sportivo, con il suo fare da guascone e con la sua aria brillantemente malinconica e imperscrutabile, si erge a ultimo baluardo di un calcio popolare fatto di passione, di presenza sul territorio, di comunicazione limpida e trasparente e, soprattutto, di idee.
Di un calcio vissuto in maniera simbiotica con una piazza che per anni ha chiesto solo di essere rispettata, rivendicando invano la propria storia centenaria e il proprio amore folle, cieco e irrazionale per quei colori granata.
Di un calcio che si nutre di una splendida utopia proletaria: che nasce dal basso e che dal basso trae la propria linfa vitale.
Sabatini nel corso della sua carriera ha dimostrato in più di un’occasione che l’impossibile può diventare possibile se a supportare le azioni ci sono un brillante intelletto e una cieca volontà e chissà che l’esperienza di Salerno non possa diventare la ciliegina sulla torta nella carriera e nella storia di un uomo che ha sempre praticato, a volte con successo, altre volte con meno successo, una vera e propria rivoluzione proletaria.
Walter Sabatini ha sempre tentato di ritagliarsi un posticino nella storia del calcio passando dalla porta di servizio, rifuggendo in maniera quasi ossessiva gli squadroni che nel corso degli anni hanno tentato invano di assicurarsi le sue prestazioni.
L’unica big che è riuscita a sedurre Sabatini è stata la Roma che, però, tra le grandi del campionato, è l’unica che vive di dinamiche proprie che, paradossalmente, appartengono più a una provinciale che a una multinazionale.
In quel di Salerno, supportato anche dal “cannone di ultima generazione” messo a disposizione dal neo patron Iervolino, il neo direttore della Salernitana ha saputo rivoluzionare la rosa in un batter d’occhio ridando dignità, sogni e speranze a un intero popolo che solo un mese fa aveva temuto, a ragione, che stesse per concretizzarsi l’ennesimo fallimento.