E così, in un pomeriggio di metà autunno, dopo più di 20 anni di onorata carriera, è giunto il momento che tutti gli appassionati di motociclismo e di sport temevano più di ogni cosa.
Valentino Rossi si ritira dalle corse lasciando in noi un vuoto che difficilmente verrà colmato nel prossimo futuro.
Il tributo resogli dal pubblico in giallo presente in quel di Misano entra di diritto nelle scene più romantiche e malinconiche della storia dello sport, equiparabili solo a quelle cui abbiamo assistito nel recente passato con gli addii al calcio di Roberto Baggio e Francesco Totti. E questo perché, così come Totti e Baggio, Vale non è stato solo un atleta, non è stato solo un motociclista, ma è stato una vera e propria icona, una delle prime in grado di fare della sua persona un modello globale.
Al numero 46 va infatti riconosciuto l’indubbio merito di aver reso grande la MotoGP, diventando nel corso del tempo la stessa MotoGP.
I nove titoli mondiali conquistati nel corso della sua carriera, con il decimo solo sfiorato nel 2015 per colpa del suo erede naturale Marc Marquez, rendono onore solo in parte a ciò che il pilota di Tavullia ha rappresentato per lo sport italiano e mondiale.
Valentino ha avvicinato il motorsport alla gente e l’ha fatto con il suo sorriso, con la sua normalità, con la sua innata capacità comunicativa poi presa a modello dalle nuove generazioni di piloti sia di MotoGP che di F1.
Le lotte con Max Biaggi, Capirossi, Hayden e Gibernau prima, con Pedrosa, Lorenzo e Marquez poi, hanno fatto sì che il 46 entrasse nella leggenda dalla porta principale perché capace di ritagliarsi un posto nel cuore degli appassionati, affascinati dall’umanità e dalla semplicità di un uomo che, dal punto di vista meramente sportivo, di umano ha sempre avuto molto poco.
Con il ritiro di Valentino si chiude un’era del motociclismo e dello sport ma, soprattutto, si chiude una fase della vita di tutti noi che dovremmo abituarci all’idea di trascorrere i nostri weekend senza la compagnia totalizzante e mai ingombrante di quell’eterno ragazzo di 42 anni che, come noi, è diventato grande senza accorgersene e che da ora in poi sarà chiamato ad altre prove della vita decisamente più impegnative di quelle affrontate in pista.
Come sempre accade in queste occasioni, la malinconia e la tristezza vengono accompagnate da un senso di smarrimento che presto cede il passo alla gioia e all’orgoglio per aver assistito in prima persona a una pagina di storia unica e irripetibile e coloro che amano lo sport non possono fare altro che essere grati per aver potuto godere di quella che, citando Faber, è una “Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale”.
Senza Vale non sarà più domenica.