Ciò che stupisce della vicenda dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, non è la vicenda giudiziaria in sé, ma il giudizio sull’operato.
Le vicissitudini giudiziarie sono del tutto personali, così come le responsabilità e le eventuali relative colpe. Al di là di questo resta il dato concreto di ciò che è stata Riace in questi anni.
Il paese è stato completamente ripopolato, a fronte della continua denuncia, da destra e da sinistra, di uno svuotamento delle aree interne e dei piccoli paesi. L’accoglienza è stata larga ed organizzata, quindi non relegata ai centri di accoglienza, con tutte le storture che questo tipo di intervento comporta, così come molti denunciano. Si è ridata vita ad un artigianato locale e straniero, il primo quasi del tutto scomparso, il secondo quasi sempre relegato ai mercatini e/o ad appositi spazi, tra l’altro completamente avulsi dalle zone commerciali di città e paesi.
Insomma, si è cercato di dare un senso alla parola accoglienza, creando sul territorio un sistema che non fosse relegato al semplice dar risposta ai bisogni primari dell’uomo.
Ci si sarebbe aspettati, quindi, che al di là delle possibili colpe o crimini perpetrati, ci si fosse soffermati sull’esito, o per meglio dire sull’evoluzione di un percorso, e non soltanto sulle modalità scelte dal singolo per metterlo in pratica.
Purtroppo, ciò non è avvenuto. Anzi, fin dagli albori della campagna accusatoria nei confronti di Mimmo Lucano, il messaggio da far passare è stato che il modello calabrese fosse l’esempio assoluto della negatività dell’accoglienza di per sé: il problema non è il sindaco in quanto persona, con le sue eventuali colpe ed eventuali crimini derivanti dalla sua responsabilità personale, ma il senso ampio dell’accoglienza. È sbagliato accogliere perché chi lo fa utilizza il sistema per commettere crimini o lucrare.
Anche da sinistra, poche sono state le voci che hanno difeso la bontà del senso profondo di accogliere, stare vicini agli ultimi del mondo, ma tutto si è concentrato esclusivamente sulla persona con le sue eventuali responsabilità penali.
Abbiamo perso un’occasione ed è un vero peccato che a destra e manca non si riesca a costruire un confronto civile e realmente politico su questo tema. Continua la caciara e la guerra di chi urla di più. Di chi sbraita nelle piazze le proprie origini e la propria assurda idea di superiorità culturale. La tradizione che si fa motivo di emarginazione e di esclusione, invece che di arricchimento di entrambe le parti.
Tutto questo dà il senso del dibattito politico in questo Paese su un tema così dirimente e così importante come quello dell’immigrazione. Tema che prima o poi l’Italia e l’Europa (e non solo) dovranno affrontare in maniera adulta e matura, guardando in faccia alla realtà e soprattutto non rispondendo al quesito come se fosse in atto un’invasione nel senso militare del termine, così come qualcuno vuol fare intendere, manipolando a proprio piacimento dati e numeri e spostando l’attenzione sul tema della sicurezza, per liberarsi la coscienza della propria incapacità di dare risposte a legittime istanze della cittadinanza in tema di lavoro e vivere civile, per nulla intaccate dalla presenza sul territori di migranti.
Da questo punto di vista potremmo ben dire che siamo già abbastanza bravi noi indigeni a metterci del nostro per rendere il Paese invivibile. Anzi, gli “altri”, visti sempre solo come un pericolo, potrebbero darci qualche dritta per migliorarci.
Il tutto senza dimenticare i motivi che spingono questi uomini e queste donne a lasciare la propria terra. Anche se non fosse “solo” per le guerre ma anche per motivi economici (come se poi questa fosse una colpa e un buon motivo per lasciarli in mare) di chi la responsabilità? Come siamo bravi a dimenticarci il nostro ruolo in tutto questo e quanto sia facile girarsi dall’altra parte per non guardare.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva qualcuno. Ma senza scomodare esempi così importanti, basterebbe solo avere un pizzico di umiltà in più a e soprattutto una maggiore umanità, tanto esaltata con le parole quanto dimenticata nei fatti.